di Paolo Cappelli
Anche il noto economista Nouriel Roubini vede un futuro nero per l’Italia che – dice – non sarà l’unica vittima del prossimo futuro economico-finanziario.
Le mancate riforme, l’arresto della crescita, gli 822 milioni di ore di cassa integrazione registrati nel 2010 (la cui tendenza, secondo l’analisi della CISL, sarebbe in via di stabilizzazione), l’incremento del rapporto percentuale debito/PIL, passato da una media di 30 nel periodo 1950-69 a 44 nel 1970-75 a 97,4 nel periodo 1976-2010 sono ombre che avvolgono l’immagine dell’Italia turrita e ne spezzano le forme, rendendola più simile a una dama velata, della quale è impossibile scorgere alcun tratto. E là dove si percepisce l’odore del sangue di ferite mai chiuse che si avvicinano e addensano gli squali presenti in ogni settore della vita collettiva, dalla comunicazione alla politica.
Non hanno perso tempo il Presidente francese e il Cancelliere tedesco – che qui si eviterà persino di nominare – a stringere accordi politico-finanziari per stritolare i Paesi in ambasce, finanziariamente ed economicamente più deboli. Né lo hanno fatto Francia e Regno Unito, dopo aver siglato un programma di cooperazione pluriennale nel campo dello sviluppo industriale relativo ai materiali per la difesa, che non prevede – pur non escludendola – la collaborazione con altri Paesi che volessero partecipare alle attività e naturalmente godere dei benefici che da queste dovessero derivare. Sul preoccupante (come negarlo?) stato di salute finanziario dell’Italia si è espresso anche Roubini Global Economics, un centro indipendente di ricerca sull’economia globale e sulle strategie di mercato, fondato dall’economista statunitense Nouriel Roubini. Roubini è conosciuto per aver predetto, attraverso dettagliate analisi economiche, lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti e l’inizio della crisi finanziaria di cui ben conosciamo gli effetti ed è quindi considerato una voce affidabile tra le tante Sibilla.
Le sue riflessioni non si fermano all’Italia, ma investono tutta Eurolandia. Secondo Roubini, infatti, la stessa Unione Europea è a rischio di dissolvimento: dopo il picco registrato nei giorni scorsi nei rendimenti delle obbligazioni nazionali decennali e l’incremento dello spread tra le obbligazioni francese e quelle tedesche, la possibilità che l’Europa non riesca a trovare una soluzione alla spiralizzazione del debito è quanto mai reale. Apparentemente, il problema fondamentale per l’Italia risiede nella fiducia degli investitori e nella volontà politica di Francia, Germania e della Banca Centrale Europea di salvare il Bel Paese, cosa ora più probabile dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi da Presidente del Consiglio dei Ministri. In realtà il problema va esaminato più in profondità: la situazione sarebbe così grave da indurre una ristrutturazione del debito italiano, pari a 1900 miliardi di euro, prevedendo addirittura l’uscita dal’Euro. La questione sembra avere il suo fulcro nel fatto che l’Italia e la Spagna affrontano problemi di liquidità, mentre gli altri paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda e Grecia) avrebbero problemi di solvibilità. L’Italia, a differenza degli altri paesi, ha un surplus primario e nonostante la crescita sia prossima allo zero, ha un’economia che funziona. Tuttavia, viene osservato dall’analisi economica, quando un paese privo di liquidità, ma solvibile, perde la credibilità sui mercati, viene praticamente emarginato dai mercati globali a causa degli spread crescenti e la dinamica del suo debito diventa presto insostenibile, fino a condurre il paese all’insolvenza.
Secondo analisi della banca Barclays, l’Italia è sul punto di perdere l’accesso ai mercati. E mentre la Francia, la Germania e la BCE esigono che siano varate riforme prima di garantire il proprio sostegno, i rendimenti dei titoli di stato raggiungono vette senza precedenti, che potrebbero portare a vendite d’impeto da parte di coloro che tradizionalmente investono in obbligazioni. Questo, a sua volta, potrebbe erodere la base di acquirenti del debito pubblico italiano, impedendo ai rendimenti di ritornare a livelli accettabili.
L’unica soluzione, a questo punto, è un’auspicabile ristrutturazione del debito, che potrebbe “causare danni e perdite significativi ai creditori in Italia e all’estero” – dice Roubini – senza peraltro riuscire ad apportare congrui incrementi in termini di crescita o di competitività. “Ci sarebbe bisogno – aggiunge l’economista – di un deprezzamento reale che non può passare per un indebolimento dell’Euro, viste le politiche tedesche e della BCE. Né si può conseguire lo stesso risultato attraverso riforme strutturali che impiegherebbero troppo tempo a ridurre il costo del lavoro“.
In sostanza, se non si può svalutare, crescere o generare un vero deprezzamento, l’unica opzione rimasta è quella di uscire da Eurolandia e tornare alla lira e alle altre valute nazionali, azzerando gli interessi e quindi deprezzando la valuta europea, che arriverebbe a livelli di parità con il dollaro dopo l’acquisto di massa del debito italiano e periferico. A questo punto, la Germania e gli altri Paesi dall’economia forte avrebbero una funzione di stimolo fiscale per compensare il calo della domanda aggregata causata dalle misure di austerità assunte nelle nazioni periferiche.
Roubini dimentica, però, che l’Italia è stata in grado di risollevarsi dalla seconda guerra mondiale, in cui la situazione era sinceramente peggiore di quella attuale. E’ vero, si potrebbe obiettare, che al tempo c’era molto da ricostruire e poco da ripensare, poca finanza e molta liquidità (grazie al Piano Marshall), ma la gens italica non ha sicuramente perso i suoi tratti distintivi. Pur rispettando le opinioni di Roubini, che in passato ha visto le proprie analisi trasformarsi in realtà, un piano pluriennale che stabilisca concrete azioni di ammortamento del debito potrebbe restituire credibilità all’Italia e consentirle di riacquisire il giusto ruolo nel sistema economico finanziario internazionale. Il tutto, almeno a livello nazionale, si gioca però su un terreno politico, che è persino più insidioso di quello economico-finanziario. Spetta alla politica trasformarsi in Eroe o Boia della Nazione. I molti rappresentanti del popolo eletti in Parlamento, i membri del Governo e tutte le autorità istituzionali hanno rimarcato più volte, nel corso dell’ultimo anno, l’importanza dell’Unità nazionale nel suo 150° anniversario. Tuttavia, la volontà di voler essere (e rimanere) al timone, in assenza di un reale e intimo sentimento di unità nazionale, potrebbe trasformarsi in un pericoloso tira e molla che vedrebbe la nave Italia procedere ora a destra, ora a sinistra, verso scogli affioranti, condannando il Paese all’affondamento e coloro che sono a bordo a finire preda degli squali che infestano queste tribolate acque.
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