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On the path – Il sentiero… che divide

di Erika Sambuco
In uscita nelle sale cinematografiche venerdì 20 gennaio, Domenico Procacci ci presenta ‘ll sentiero (On the Path)’, in concorso alla 60a Berlinale  e seconda opera della regista e sceneggiatrice Jasmila Zbanic che a Berlino già vinse il prestigioso Orso D’Oro per “Il Segreto di Esma”. La regista, stavolta, ci porta nel mondo di una coppia di bosniaci musulmani, giovani ed innamorati,  e del loro percorso per costruire un futuro, un futuro nel quale progettano di formare una famiglia e condividere l’esistenza. Lei, Luna,  fa la hostess, gira per il mondo elegante e risoluta nella sua divisa, e sogna il figlio che non riesce ad avere. Lui, Amar, è controllore di volo. Un’intimità fatta di frasi brevi, sguardi, risate, abbracci, di squilli di telefonino e scatti di foto nel tentativo di voler rendere tutto prezioso; la normalità di un quotidiano, di una qualsiasi coppia nell’odierna Sarajevo. Il loro amore scorre placido in quella pace che è volontà ostinata di lasciarsi gli orrori alle spalle.
Amar, a causa del vizio dell’alcol (rifugio o evasione concessi probabilmente al trauma di una guerra etnica che ha lasciato nella popolazione intera molte e profonde cicatrici) perde il lavoro, e qualcosa s’interrompe. In seguito ad un casuale incontro, riallaccia i rapporti con un ex commilitone (divenuto nel frattempo un seguace della dottrina wahabita); l’amico, sapendolo senza lavoro, gliene offre uno presso una reclusa comune sulle sponde di un suggestivo lago.
Il momento di crisi personale aprirà in Amar il varco ad un fondamentalismo religioso, forse in risposta ad un vuoto esistenziale, percepito come abisso scardinante ogni equilibrio, da colmare e risolvere attraverso le certezze di una verità servita come àncora cui aggrapparsi; una religione, però, che avvolge la donna in un’informe sagoma nera, negandole qualsiasi libertà d’espressione fisica e mentale, e confina l’uomo nell’abbaglio della sua stessa superiorità. Ma Luna, rimasta ancorata all’idea liberale dell’amore che avevano condiviso fino a poco prima, non piegherà il capo a quel mutamento. Così, tra le mura di una casa divenuta d’improvviso ostile, i loro corpi si allontanano, e a questi fanno seguito menti e cuori, mentre gli spazi – un tempo luminosi rifugi di amore e intimità – mutano in asfissianti cunicoli di tensione.
La storia de Il sentiero’ si snoda tramite il racconto in soggettiva di Luna che muta lo sguardo da donna innamorata (così teneramente da riprendere Amar mentre russa e rivederselo a letto nei momenti di solitudine) a donna  determinata a non voler rinunciare a ciò in cui ha, fino a quel momento, creduto. L’improvvisa conversione di Amar a un islamismo ortodosso, secondo cui persino i rapporti prematrimoniali non sono consentiti, e il ruolo della donna è quello di ‘compagna’ obbediente, scardinerà l’equilibrio di una coppia fino a quel momento felice nella propria insubordinazione religiosa: la fede è un rifugio sicuro che lo accoglie, è senso d’appartenenza; e con un assolutismo che matura in fretta, Amar diventa prigioniero della trappola che l’ha salvato e perde Luna.
Una donna verso una presa di coscienza dolorosa quanto necessaria, e il cammino di un uomo verso un ‘oscurantismo’ religioso, che facilmente prospera quando la vita sembra mancare d’appigli e la ‘fraterna’ intimità di regole e principi – che sono limite alla libertà – acquistano paradossalmente il calore di un’apparente sicurezza frammista a senso di protezione. Ed è attraverso il lucido sguardo di Luna, donna di cuore ma solida, che quella ‘confraternita’ così protettiva agli occhi di Amar si mostrerà per quello che realmente è: un’inquietante congrega di fanatici che costringe le donne a vivere nell’ombra dei niquab e concede agli uomini il beneficio di matrimoni multipli, nonché il ‘lusso’ di spose minorenni. Di fronte a una tale aberrazione umana lo sguardo di Luna sostituirà, per forza di cose, la fermezza della ragione alla volatilità dell’amore, convertendosi a un integralismo sentimentale che non scende a compromessi, imboccando, infine, il proprio sentiero.
Ottimo il lavoro degli interpreti, il film si presenta con dialoghi minimi, scarni e ridotti all’essenziale. Molto ben studiata la scelta del sonoro, che alterna le musiche delle discoteche New Age di Sarajevo alle lunghe letture delle Sure del Corano da parte dell’Emiro, enfatizza la grande sfida che una terra difficile come la Bosnia è costretta ad accettare: passato e presente, Oriente ed Occidente, sono i poli opposti nei quali i sentieri tortuosi della vita ci conducono.
Ancora una volta, la Fandango si dimostra una casa distributrice capace. Jasmila Zbanic tenta di ritrarre con accortezza e candore la discesa della storia di questo amore, un cammino che poi, la casualità degli eventi, ma anche il patrimonio esperienziale che ha plasmato il carattere di ognuno, separerà. La regista ripercorre il filo delle cicatrici di una guerra etnica che ritrova il suo volto in un integralismo religioso che limita, di fatto, la libertà individuale, ostacolando anche e soprattutto l’amore, sentimento libertario per eccellenza. La storia è il paradigma di una generazione interrotta e riavviata: uomini e donne che hanno attraversato la guerra, hanno perduto affetti i cui occhi hanno registrato gli orrori, e ora, per età ed energia, sono quelli che hanno ricominciato, con la vita davanti e il gelo dietro la schiena.
ON THE PATH (in inglese) è la traduzione letterale del titolo originale “NA PUTU”, che in bosniaco vuol dire “essere in cammino verso una meta”. Come in inglese, ha anche un significato spirituale. Si usa quest’espressione per descrivere la ricerca di se stessi o una persona che si appresta a fare delle scelte, oppure che cerca di raggiungere uno scopo.
La verità è che a volte non basta tenersi per mano; semplicemente può accadere che ci si perda, che ci si divida. Perché ognuno, evidentemente, non ha che un sentiero: il proprio.

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