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Esce il film A.C.A.B.: l’obiettivo punta sul controverso mondo delle Forze Speciali di Polizia

Intervista all’Avv. Giorgio Carta – di Stefania Taruffi

ACAB

Uscirà nelle sale il 27 gennaio il film A.C.A.B.  acronimo di “All Caps Are Bastards, ovvero “tutti i poliziotti sono bastardi”, un motto che, partito dal movimento skinhead inglese degli anni Settanta, è diventato nel tempo un richiamo universale alla guerriglia nelle città, nelle strade, negli stadi.
Il film è realizzato dal regista Stefano Sollima, al suo esordio cinematografico dopo varie serie Tv di successo come “Crimini” e “La Squadra”. Tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini, edito in Italia da Einaudi, basato su una storia vera. Il film si discosta leggermente dal libro.
Cobra (Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco Giallini) sono tre “celerini”, ovvero poliziotti del reparto mobile della Polizia di Stato sempre in prima fila a proteggere la sicurezza delle persone allo stadio, a sgombrare un campo rom o una casa occupata, a bloccare proteste di studenti e di operai. Sulla loro pelle hanno imparato a essere bersaglio, perché vivono immersi nella violenza, un mondo governato dall’odio che ha perso le regole e che loro vogliono far rispettare anche con l’uso spregiudicato della violenza.  Il film è un viaggio nel mondo poco conosciuto e controverso del reparto mobile, spesso guardato con distacco da tutto il resto della Polizia e con sospetto e diffidenza dai cittadini. Uno sguardo dall’interno, sullo sfondo dei più sconcertanti episodi di violenza urbana accaduti negli ultimi anni, sotto l’ombra inquietante di quanto successo al G8 di Genova nel 2001, al quale il regista fa solo un breve riferimento in cui però lo Stato, ne esce perdente. Come perdenti nella loro vita privata e lavorativa ne escono i protagonisti e le Forze dell’Ordine in genere.
Quella delle Forze dell’Ordine è una realtà di cui si dovrebbe parlare di più, approfondendo e portando alla conoscenza di tutti la loro realtà, le loro esigenze, difficoltà. I reparti speciali poi, sono un mondo a parte. Ragazzi da 1.400 euro il mese che rischiano la loro vita per proteggerci, per fare il lavoro ‘sporco’, calati in una realtà complessa, spesso disperata, carica di tensioni. Con precisi doveri e pochissimi poteri, se non quello di sentirsi fieri del proprio ruolo, di lavorare in squadra con i “fratelli”, di credere fortemente in quello che fanno. Una realtà, quella dei celerini, che rappresenta spesso l’ultimo baluardo dello Stato.
L’uscita di questo film è un’occasione interessante per approfondire un tema controverso del quale esistono molte, troppe ‘verità’ e punti di vista, spesso ricchi di preconcetti e poco fondati.
 
Avv. Giorgio Carta

Ne parliamo con Giorgio Carta, noto avvocato specializzato in diritto militare e delle Forze di Polizia, ex Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, impiegato negli anni ’96 – ’97 al battaglione mobile Carabinieri Lazio (omologo del reparto mobile della Polizia, in passato chiamato “celere”).
Secondo la sua esperienza sul campo quando era Ufficiale nell’Arma, assegnato al battaglione mobile e ora in qualità di “Avvocato degli sbirri“, ha trovato il film A.C.A.B., rispondente alla reale situazione dei ‘celerini’ in Italia?
Sinceramente, ho trovato il film accurato nella ricostruzione scenografica, ma assolutamente fuorviante nelle rappresentazione della personalità dei poliziotti impegnati nei servizio di ordine pubblico e del loro approccio al lavoro. Credo che l’accostamento tra la violenza necessitata durante l’espletamento del servizio e quella usata dai protagonisti del film fuori dal servizio, profili un’equazione tra uomo violento e cittadino in uniforme, che non ha alcun riscontro statisticamente apprezzabile nella realtà.Per dirla tutta, nella vita reale, poliziotti e carabinieri sono uomini come tutti gli altri, scevri da qualsiasi peculiare inclinazione alla violenza e che, anzi, vivono con costernazione e grande travaglio l’uso delle forza.
Tuttavia è pur vero che essi si trovano a operare, senza chiara legittimazione dello Stato, in condizioni, ‘ai limiti’ della legalità. A volte servono azioni decise per contrastare la criminalità. Qual è la situazione reale nelle Forse dell’Ordine, quanti ‘fanno giustizia da soli’, fuori dal servizio, nei termini evidenziati dal film?
Infatti, il problema è, a mio parere, opposto. Questi eroi quotidiani vengono catapultati nelle situazioni più rischiose ed estreme e, al contempo, si pretende da loro l’astensione da ogni atto violento, anche quando sono palesemente e brutalmente attaccati da veri e propri criminali che, però, la stampa e l’opinione pubblica hanno l’ardire di definire, di volta in volta, manifestanti, tifosi o studenti. L’idea base che sottende questo distorto approccio al problema è che sia la violenza delle forze di polizia a generare altra violenza. Invece, l’esperienza m’insegna che è il contrario: sono le mani legate e l’impotenza delle forze di polizia nonché il terrorismo psicologico loro indotto che generano violenza sociale.
Il film evidenzia l’aggressività e la violenza di questi manifestanti “delinquenti” e la posizione “difensiva” delle Forze dell’Ordine. A suo parere, queste dovrebbero avere più potere di “attacco”, nell’ambito dello svolgimento del proprio lavoro?
Non di attacco, ma di reazione alla violenza altrui, direi. In Italia un lanciatore di estintori ai Carabinieri come Carlo Giuliani è ancora considerato un eroe e non me ne capacito. Solo nel nostro Paese gli si sarebbe potuta intitolare un’aula del Senato e nominare la madre senatrice, come chiaro messaggio di accondiscendenza per la prodezza del figlio. Come devono regolarsi le forze dell’ordine davanti a tale umiliante e desolante atteggiamento della società cosiddetta civile?
Perché i modelli stranieri sono più vincenti e a quali si riferisce in particolare?
Io li definirei energici, più che violenti. La repressione dei reati, eventualmente con la forza, è un’azione sacrosanta e talvolta irrinunciabile. La sola che permette ai benpensanti di discernere sui massimi sistemi senza provare sulla loro pelle cosa significhi essere assaliti da folle di criminali che loro eufemisticamente chiamano manifestanti. Pensiamo, invece, alla Polizia americana e a come i suoi metodi, talvolta piuttosto spicci, assicurano però un rispetto tendenzialmente maggiore, che va a diretto vantaggio delle istituzioni e dell’ordine pubblico. Mancare di rispetto a un poliziotto, negli USA costa caro sotto ogni profilo e, con ogni probabilità, conduce immediatamente il responsabile in una cella, le assicuro, tutt’altro che confortevole. Chi usa violenza verso un appartenente alle forze dell’ordine a New York, sa che la reazione della legge, oltre che dell’opinione pubblica, sarà durissima e senza sconti. In Italia, invece, fino a poco tempo fa, avevano persino depenalizzato l’oltraggio al pubblico ufficiale.
Devo dire che, di tutto ciò, la sinistra in Italia ha una grande responsabilità morale e, difatti, fu Rifondazione Comunista a intitolare scelleratamente a Carlo Giuliani la famosa aula del Senato. In qualsiasi altra nazione, penserebbero ad uno scherzo di cattivo gusto.
Siamo al paradosso: un violento (Giuliani) diventa eroe e un eroe (il poliziotto),  diventa un delinquente. Non dimentichiamoci che le Forze dell’Ordine rappresentano lo Stato. Se un violento diventa un eroe, lo Stato è delegittimato.
Purtroppo questo paradosso, che è sotto gli occhi tutti, non scandalizza nessuno. Di conseguenza, il destino delle forze dell’ordine e dei militari in Italia, è quello di essere invisi a tutti: ai cittadini, per lo più disinformati; ai loro superiori, che ancora li trattano da sudditi; alla politica, che bene che vada, li impegna, come pedine nello scacchiere internazionale, in improbabili missioni di pace dove però ci si spara; alla stampa, che li celebra solo da morti, quando sono avvolti in un tricolore, ma, per il resto, li critica in ogni occasione; e, infine, soprattutto ai giudici amministrativi, che li considerano a tutti gli effetti cittadini di serie B, disconoscendo loro i basilari diritti democratici riconosciuti agli altri cittadini.
A tal proposito, stiamo organizzando una grande manifestazione collettiva a Roma, davanti al Consiglio di Stato, il 17 aprile prossimo, proprio per gridare ai giudici amministrativi lo slogan “non siamo cittadini di serie B“. Invitiamo tutti i cittadini di buona volontà a supportare l’iniziativa.
 In A.C.A.B. i tre ‘celerini bastardi’ si sentono più che poliziotti e si fanno giustizia da soli, al di fuori della legalità e del loro ruolo e con un uso spregiudicato della violenza. Quanti ce ne sono di questi “giustizieri fai da te” nelle Forze dell’Ordine?
Sono assolutamente eccezioni e, se scoperti, vengono immediatamente isolati. Le assicuro che i poliziotti sono normali e affettuosi padri di famiglia oltreché persone assolutamente ordinarie che, finito il lavoro, tornano alle loro case come tutti noi e che certo non si alzano la mattina con la voglia di spaccare la testa a qualcuno. Credo che il film in questione non colga questo aspetto.
La giovane recluta nel film invece, pur affascinata dal gruppo di anziani, li denuncia all’Autorità. Ne esce come un’eccezione in quest’ambiente coeso. Lo è?
Sotto questo profilo il film è realistico. Chi denuncia un collega non è ben visto in nessun ambiente. Tuttavia ciò non significa che i reati delle forze dell’ordine vengano occultati, né che le denunce tra colleghi siano un’eccezione, anzi.

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