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Theo Angelopoulos: un lutto durissimo per un paese già così provato

di Erika Sambuco
Ieri mattina Theo Angelopoulos, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico greco, stava attraversando la strada quando è stato investito da un motociclista in una località dell’Attica, a Ovest del Pireo, proprio dove si stavano svolgendo le riprese del suo ultimo film. Ferito gravemente, Angelopoulos è stato trasportato d’urgenza in ospedale. Fino all’ultimo è rimasta viva la speranza della salvezza, anche se le condizioni sono apparse subito critiche e, dopo vari arresti cardiaci, intorno alle 22, il cuore del regista ha cessato di battere. Muore così, all’età di 76 anni.
Theodoros Angelopoulos nasceva ad Atene il 27 aprile 1935. Figlio di commercianti, dopo aver svolto il servizio militare, si iscrive all’Università di Atene, ma lascia la Facoltà di Legge prima di laurearsi. Trasferitosi a Parigi, frequenta i corsi di letteratura francese, filmografia e etnologia alla Sorbona, poi, vista la sua forte passione per la settima arte, segue i corsi alla scuola di Teatro e di cinema dell’HIDEC, che interrompe, però, per lavorare al Musée de l’Homme, dove entra a far parte del gruppo di lavoro di Jean Rouch, etnografo e pioniere del ‘cinema diretto’. Ritornato in Grecia nel 1964, vi rimane fino al 1967, lavorando come critico cinematografico per il quotidiano di sinistra ‘Demokratiki Allaghi’ (che venne chiuso dopo il colpo di stato militare) e, successivamente, come co-fondatore (con Basil Rafailides) della rivista ‘Cinema Moderno’.
Fu proprio con la sospensione della sua attività giornalistica, che Angelopulos passa alla regia fra il 1965 e il 1968, firmando il suo primo cortometraggio, ‘La trasmissione’ (1968), presentato al Thessaloniki Film Festival. Successivamente si mette a lavoro con Kostas Lyhnaras su una pellicola che univa il noir anni quaranta alla commedia musicale: ‘Peripeteies me tous Forminx’, che, però, non venne mai ultimata per i disaccordi con la produzione.
Nel 1970, dirige il suo primo lungometraggio, ‘Ricostruzione di un delitto’, opera prima che lo porta all’attenzione della critica internazionale e vince il primo premio al Film Festival di Salonnico e altri premi all’estero (FIPRESCI), segnando l’inizio del cinema greco moderno. Subito dopo, inizia a realizzare una trilogia basata sulla storia greca dagli anni trenta agli anni settanta. La trilogia è composta da: “I giorni del ’36” (1972, FIPRESCI), “La recita” (1975, FIPRESCI e Interfilm Award Forum of New Cinema al Festival di Berlino), incentrato sulle peripezie di una compagnia teatrale, e “I cacciatori” (1977) che, invece, aveva come protagonisti un gruppo di borghesi. Di chiara derivazione brechtiana (dove la tensione è spostata sull’andamento e non sull’esito delle sue azioni), mette a punto la sua poetica dello straniamento: l’uso dei tempi morti, il piano sequenza, l’ellissi, l’uso di una gamma cromatica chiarissima e priva di qualsiasi richiamo naturalistico, l’imposizione dell’inquadratura fissa e dello spazio off, tratti caratteristici del regista per questa trilogia. Nelle produzioni successive, Angelopulos si definisce ulteriormente, rifiutando il tradizionale passaggio dal passato al presente e raccontando così la Storia in maniera acronologica.
Nel 1980, con ‘Alessandro il Grande’ (FIPRESCI) – la vicenda di un anarchico ritenuto un brigante -, vince il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia, dove tornerà nel 1988 con ‘Paesaggio nella nebbia’, aggiudicandosi il Leone d’argento (ma anche l’Interfilm Award Forum of New Cinema, il C.I.C.A.E., l’OCIC, il Pasinetti, il Premio degli Studenti dell’Università della Sapienza, il Sergio Trasatti) per la fiaba malinconica di due bambini che viaggiano alla ricerca del padre emigrato in una livida ed estranea Germania. La dolente pellicola, fra momenti struggenti e scatti inventivi, celebra il silenzio come alta poesia immergendosi nel manierismo, e lo pone alla pari di maestri del cinema come Michelangelo Antonioni, Ingmar Bergman, Andrei Tarkovskji e Federico Fellini. Nel mezzo, il documentario ‘Taxidi sta Kythira’  (1984, FIPRESCI e migliore sceneggiatura al Festival di Cannes), scritto con l’aiuto di Tonino Guerra e Thanassis Valtinos. Il cupo e troppo lungo road movie ‘Il volo’ con un incredibile Marcello Mastroianni nei panni di un apicoltore in viaggio dall’Epiro al Peloponneso, che dirigerà anche nell’esteticamente alto ‘Il passo sospeso della cicogna’ (1991), dove omaggia il già citato Antonioni nella riunione della coppia che l’attore italiano aveva formato con l’attrice francese Jeanne Moreau, trent’anni prima, in ‘La notte’.
Nel 1995, arriva ‘Lo sguardo di Ulisse’ (FIPRESCI, Nastro d’Argento Europeo e per il miglior regista straniero) sulla tragedia dei Balcani, vista attraverso gli occhi del suo doppio (Harvey Keitel) che sogna di tornare a casa in pace. Il film è dedicato alla memoria di Gian Maria Volonté che doveva interpretare il ruolo del conservatore della cineteca, morto all’inizio delle riprese. Parallelamente, lavora con altri 41 registi a ‘Lumière et compagnie’ (1995), all’interno del quale realizza un cortometraggio con le tecniche di lavoro esistenti alla data dell’invenzione del cinematografo (1985).
Fra le sue ultime fatiche cinematografiche, la trasposizione del romanzo di Albert Camus ‘L’exil et le royaume’ dal titolo ‘L’eternità e un giorno’ (1998) vincitore della Palma d’Oro e del premio ecumenico della giuria, il documentario ‘A ciascuno il suo cinema’; nel 2004, avvia una nuova trilogia con ‘La sorgente del fiume’, il secondo titolo, ‘La polvere del tempo’ , con Willem Dafoe, era stato presentato al FilmFest di Berlino nel 2009. Il film che avrebbe concluso quest’ultima trilogia s’intitola ‘L’altro mare’, è ambientato ad Atene e narra la storia di un padre e di una figlia: ‘Sarà un film sul destino degli uomini, sui loro sogni. Il 20esimo secolo ha creato una speranza di cambiamento, ma adesso il sogno è svanito e ci troviamo a vivere in un vuoto che le nuove generazioni dovranno riempire di contenuti’, aveva dichiarato l’autore.
Angelopoulos era impegnato, nelle ultime settimane, nelle riprese di questo lavoro. Il film è incentrato sul tema della crisi che il regista presentò anche lo scorso 10 gennaio, intervistato dalla trasmissione di RaiTre ‘Ballarò’ sulla attuale depressione politico-economica della Grecia. La pellicola ha come protagonista l’attore italiano Toni Servillo.
Stimato regista (celebrato con lauree honoris causa dell’Università di Bruxelles, di Nanterre, di Parigi e dell’Essex) rimarrà sempre un simbolo, una figura emblematica del nuovo cinema greco: la Grecia dei suoi film è lontana anni luce dagli stereotipi di sapore turistico che ne hanno sempre caratterizzato le rappresentazioni. Nelle sue opere, spesso sotto un cielo grigio e piovoso, tra distese montuose desertiche, emerge il cuore duro e profondo del Paese, quel nucleo di sofferenza che forse, solo oggi, con l’esplosione della crisi economica, è apparso chiaro agli occhi del mondo. Purtroppo le persone muoiono. La crisi, invece, sembra proprio di no. Addio maestro, le tue ‘giuste polemiche’ ci mancheranno.

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