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Neve, crisi e gelo: agricoltura in crisi. E l’Europa non aiuta

di Francesca Lippi
Il problema va avanti oramai da tempo. A luglio, la Coldiretti denunciava che i prezzi della frutta fresca sugli scaffali si erano già impennati del 14 per cento rispetto al 2010. Contemporaneamente, però, sui campi c’era una profonda crisi con una preoccupante diminuzione dei compensi riconosciuti agli agricoltori del 20  per cento. E oggi? La situazione non è cambiata, anzi: è ulteriormente peggiorata. Sempre la Coldiretti, basandosi su dati Ismea, denuncia in questi giorni un crollo record del 25 per cento dei prezzi pagati agli imprenditori agricoli del mese di gennaio 2012 per quel che riguarda gli ortaggi, duramente colpiti dall’ondata di maltempo che ha investito lo Stivale. Così, facendo un confronto con l’anno precedente, è possibile notare una allarmante flessione dei prezzi agricoli del 3 per cento, con un ribasso del 9 per cento per le coltivazioni, nonché un aumento del 4 per cento delle produzioni da allevamento, con un effetto negativo sul  prodotto interno lordo agricolo nel primo mese del 2012.
I tir bloccati e il gelo nei campi
Sempre secondo la lettura della Coldiretti, a rendere più pesante il crollo dei prezzi alla produzione  sarebbero stati «i gravi danni subiti dal settore agricolo a seguito dell’ondata di maltempo che ha procurato perdite stimate in mezzo miliardo per l’intera filiera». Ai danni immediati determinati dalla distruzione delle colture in campo nei magazzini o nei tir per il blocco delle attività andrebbero sommati «quelli strutturali con il crollo di intere strutture produttive, dai capannoni alle stalle. Il conto per l’agricoltura potrebbe salire in misura esponenziale perché con le temperature al di sotto dei dieci gradi per più giorni rischiano di essere compromesse anche le circa 100 milioni di milioni di piante di ulivo coltivate nelle zone interessate dal maltempo, al pari di quanto è avvenuto con le gelate del 1985».
L’altra faccia dell’agricoltura: i fiori
Dirlo con un fiore. Ma che lingua parla il profumato presente? L’altra faccia del lavoro nei campi è la floricoltura e ieri, per  San Valentino, molti degli iridati bouquet non avevano affatto un’origine tricolore. Secondo la Confederazione italiana agricoltori, infatti, più di quattro italiani su dieci, avrebbero regalato fiori per un totale di circa 20 milioni di esemplari, fra rose, tulipani, gerbere, orchidee e lilium. Il fatto è che c’è il rischio che i fiori che sono stati acquistati in questi giorni siano principalmente ‘stranieri’, in ben due casi su tre. Il motivo? «Perché il costo del gasolio agricolo è arrivato a livelli insostenibili», sostiene la Cia che registra un incremento del 130 per cento in meno di due anni. «Molti floricoltori italiani hanno quindi scelto di non produrre o di limitare i ‘tagli’ invernali, visti i rincari insopportabili della bolletta energetica per il riscaldamento delle serre. Il maltempo, poi, ha dato un’ulteriore batosta al settore, tra produzioni danneggiate e consegne rallentate dal blocco della circolazione stradale».
La grave conseguenza per la floricoltura italiana e per l’economia generale del paese è che «aumentano a dismisura soprattutto nelle occasioni festive come San Valentino, le importazioni ‘selvagge’ da paesi extracomunitari come Tailandia, Colombia, Etiopia, Ecuador e, per le rose, Kenya. Ma la qualità del ‘prodotto Italia’ va differenziata e valorizzata rispetto al prodotto importato, che ha prezzi inferiori sia perché gode dell’esenzione parziale o totale dei dazi, sia perché  ha un costo della manodopera bassissimo, sia perché non è tenuto agli stessi obblighi sanitari (passaporto verde, gassificazione del prodotto) che hanno invece le merci europee quando vengono esportate oltre i confini comunitari». Quindi, in un certo senso, è possibile dire che nell’Europa delle ‘quote’ e delle rigide regole di mercato, si può riscontrare un certo lassismo con i prodotti extra comunitari, come dimostrato dall’ultimo accordo commerciale tra l’Europa e il Marocco, che in questo difficile contesto economico risulta catastrofico per le imprese agricole italiane.
Quando l’Europa affossa l’Europa
E così non basta il gelo e la crisi economica. Nonostante i paesi europei siano costretti a soggiacere a regole rigide di mercato e alla ferma logica delle quote, l’Unione europea decide anche di stringere un patto economico che rischia di affossare il comparto agricolo già fortemente debilitato. L’accordo con il Marocco per i prodotti agricoli e della pesca potrebbe avere così un impatto catastrofico sugli agricoltori europei, «in particolare nel sensibile settore dell’ortofrutta, con ripercussioni drammatiche sull’occupazione nelle zone rurali dell’Unione europea» . È di nuovo la Coldiretti a parlare per mezzo di una lettera inviata ai rappresentanti italiani del Parlamento europeo in vista del voto che si terrà domani, giovedì 16 febbraio in sessione plenaria sul progetto di risoluzione legislativa che riguarda la decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell’accordo, in forma di scambio di lettere, tra l’Unione europea e il Regno del Marocco. «Nel caso in cui tale accordo venisse concluso, si assisterebbe infatti a un notevole aumento dei prodotti provenienti dal Marocco, nello specifico per sei prodotti sensibili che interessano in misura importante il nostro Paese: pomodori, zucchine, cetrioli, aglio, agrumi e fragole». Non solo, secondo Coldiretti sarebbe il caso di tener conto anche dei «diversi standard produttivi in termini ambientali, fitosanitari e di qualità dei prodotti originari del Marocco e che il sistema europeo dei prezzi di entrata per tali importazioni non tiene conto dei costi di produzione e di manodopera propri all’Ue». Già, perché, a quanto pare secondo un rapporto stilato dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode, Olaf, risulterebbe che il Sistema europeo di controllo e di tutela per le importazioni dal Marocco non sarebbe affatto efficace.

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