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La macchina dello Stato

di Mariano Colla
I clamori per i 150 anni dello Stato italiano si stanno lentamente attenuando ma, qua e là, permangono alcune manifestazioni qualificate, magari non note ai più a causa di una limitata sponsorizzazione da parte del circo mediatico.
Tra esse vale la pena citare la mostra ”La macchina dello Stato, leggi, uomini e strutture che hanno fatto l’Italia”, manifestazione ancora in corso a Roma EUR nei neoclassici edifici dell’archivio generale.
Sfortunatamente mancano pochi giorni alla chiusura (16 marzo) della mostra ma per chi ha del tempo suggerisco di visitarla.
Quando parliamo di Stato diamo spesso per scontato il concetto ad esso sotteso, ma in realtà non credo sia a tutti chiaro quale complessità si celi dietro tale nozione e, in particolare, quali e quante attività lo Stato coinvolga per assumere una dimensione funzionale e organizzata.
E infatti la mostra si propone di illustrare l’immenso lavoro che l’Italia, appena formata, ha dovuto svolgere per dare un assetto organizzato e unitario alla pletora di stati e staterelli che, alle soglie del 1861, confluivano nel progetto nazionale.
Silvio Spaventa nel 1879 scriveva:“costituire l’amministrazione di uno Stato è per se stessa, da per tutto, uno dei problemi più difficili dei nostri tempi”.
Le sfocate immagini dei filmati dell’istituto Luce accolgono il visitatore con il documentario “parliamo un po’ di noi”, una rassegna che illustra la faticosa marcia del popolo italiano da una dimensione prevalentemente agricola al sogno industriale.
Ma ben altre erano le priorità prima del sogno industriale.
Il grande sforzo dei nuovi governanti a partire dal 1861 si incentrava sul tentativo di dare al paese dei modelli di unificazione per ogni disciplina amministrativa.
Tra le prime emergenze va citato il progetto di unificazione dei sei diversi sistemi monetari e delle ben 286 diverse monete metalliche in circolazione in Italia nel 1861.
Viene introdotta la lira e cominciano a diffondersi le banconote.
Ma il problema dell’unificazione si poneva anche per le unità di pesi e misure ed è pertanto interessante vedere esposte stadere, verificatori, misure campioni per liquidi in ottone, triplometri e misuratori di capacità, posti in contenitori facilmente trasportabili, utili per diffondere standard che potessero ampliare sul territorio nazionale la rete commerciale.
La ricostruzione, con mobili originali, dell’ufficio postale di Parma del 1870, ripropone le soluzioni adottate allora con l’obiettivo di standardizzare il sistema di telecomunicazione postale e telegrafico.
Leggi, decreti, normative, atti, spesso scritti a mano, con una calligrafia ordinata e precisa, ricoprono fogli ingialliti dal tempo. Sembra quasi di udire il brusio dei funzionari statali, degli impiegati, degli stampatori alle prese con la produzione delle nuove norme dello Stato, imbrigliato in mille differenze di lingua, tradizioni e culture.
Nobile sforzo che tuttavia si scontrava con l’avvento del brigantaggio dove confluivano aspetti di rivolta rurale, tensioni sociali, pulsioni filo borboniche e legittimiste.
Un fenomeno, quello del brigantaggio, paragonabile con una guerra civile dai toni aspri e drammatici e, non a caso, vengono esibiti rapporti di polizia sugli interventi effettuati, manifesti con ordini di cattura e taglie sino a lire 12000 per i briganti più pericolosi, quali il celebre Pennacchio, immagini di esecuzioni con banditi appena fucilati e con i corpi martoriati ancora intrisi di sangue. Fu una vera e propria guerra che impegnò per anni quasi un terzo dell’esercito regolare italiano.
L’unificazione legislativa e amministrativa del paese toccava tutta la popolazione in almeno due settori: lo stato civile e la leva.
Un registro dei matrimoni della città di Rieti riporta i nomi dei coniugi scritti da un paziente amanuense di cui sembra ancora di udire il gracchiare del pennino sulla carta simile a pergamena. Analoghi registri elencano i nomi dei coscritti alla leva e dei battezzati.
Altri sforzi furono fatti sul lato dei brevetti, finalmente regolati per legge, e sulla realizzazione di un moderno e funzionale sistema tributario. Un ampio foglio ingiallito riporta, per il comune di Mantova, l’accurato dettaglio “dell’imposta sui redditi della ricchezza pel 2° semestre 1869”.
Tuttavia, anche allora la macchina tributaria non era in grado di sopperire ai fabbisogni di bilancio e restavano irrisolti vari problemi tra cui, in particolare, l’evasione fiscale. Problema antico per il nostro Paese.
Per procurarsi risorse il nascente Stato ricorre alla soppressione delle corporazioni e degli enti religiosi con l’appropriazione del loro patrimonio da parte del demanio.
Fanno bella mostra di sé gli atti della commissione reale di inchiesta sulle opere pie del regno del 1890, commissione a cui fu affidato l’incarico di eseguire accertamenti economici e morali sulla beneficienza pubblica e di formulare suggerimenti sull’impiego delle opere pie. Spicca anche l’avviso d’asta dei beni ecclesiastici, secondo la legge del giugno del 1873, a cui fa da contraltare il manifesto dei vescovi d’Italia, del gennaio del 1890, indirizzato al clero e al popolo delle diocesi, dove si disapprova la legge sulle opere pie e sul tema delle beneficienze. Storia nota ma i documenti del tempo, che comprovano gli ardui termini del conflitto, ricreano l’atmosfera di quegli anni.
Particolare interesse desta un documento che sintetizza i risultati della votazione effettuata nel Lazio circa l’annessione di Roma allo Stato italiano:
Iscritti:167.548, Votanti:135291, Si:133681, No:1507, Nulli:103. Roma voleva essere italiana.
Per l’educazione scolastica fu introdotta la legge Coppino che imponeva l’obbligo scolastico per il corso inferiore e l’analfabetismo, lentamente, regredisce (56% nel 1900 dal 78% nel 1861).
Il dipinto a olio di Demetrio Cosola, dal titolo “il dettato” fornisce una suggestiva immagine di una scolaresca di paese. Raccolti intorno a un bancone i visi dei bambini tradiscono le origini contadine nei lineamenti un po’ ruvidi e nei colori brunati della pelle. Lo sguardo incerto, i corpi delicatamente costretti in grembiuli d’ordinanza, le mani poste dinanzi ai fogli bianchi pronti a essere violati dal tratto insicuro dei giovani scolari creano un’atmosfera antica, tipica delle aule di paese .
Sorprende inoltre la precisione delle statistiche del Ministero degli Interni sulla situazione delle carceri del 1894 con la suddivisione tra condannati inoperosi e condannati occupati, divisi a loro volta per professioni di provenienza quali, per esempio, calzolai, tessitori, cordai, muratori, etc. Dati riportati con minuzia e precisione in apposite tabelle, così come sono lo sono i dati riferiti a statistiche sulle situazioni igienico-sanitarie dei comuni.
Nel frattempo la cartografia faceva i suoi progressi. Infatti, appesa a una parete si può ammirare, realizzata dall’ufficio tecnico del macinato di Messina, una dettagliata mappa idrografica con le indicazioni dei mulini e degli opifici lungo i corsi d’acqua dell’intera provincia della città siciliana.
Anche se l’attenzione del visitatore viene più facilmente catturata dai reperti relativi ai primi quaranta anni della storia d’Italia, la mostra copre altresì, con dovizia di particolari, fotografie, documenti originali i periodi successivi, dalla 1° guerra mondiale al periodo fascista, dalla nascita della repubblica allo sviluppo industriale. Insomma una sintesi dello sforzo che la dirigenza illuminata del nostro paese ha effettuato per oltre un secolo al fine di condurre l’Italia nel novero dei paesi europei.
Due scolaresche di giovani liceali in visita alla mostra ravvivano la speranza che queste importanti testimonianze della nostra storia non siano consegnate all’oblio.

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