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Relazioni in cucina: curare, amare, avvelenare

di Mariano Colla
“Si può benissimo filosofare quando si prepara una cena e sono sicura che se Aristotele avesse cucinato, avrebbe scritto molto di più”. Queste sono le parole di suor Juana Inès de La Cruz, la maggiore poetessa del barocco latinoamericano.
Con questa citazione si è aperta la conferenza della prof.ssa Maria Giuseppina Muzzarelli, ordinario di storia medievale all’università di Bologna, sul tema “Relazioni in cucina: curare, amare, avvelenare”.
La conferenza fa parte della rassegna “Lezioni di storia”, programma di interventi organizzato all’Auditorium Parco della Musica e quest’anno incentrato sul filo conduttore costituito da “il tempo delle donne”.
Le soavi note di “O quam mirabilis” di Ildegarda di Bingen si diffondono nella sala e incorporano,nella loro dolcezza, le seduzioni mistiche proprie della musica medievale, allorché proprio dal medioevo prende spunto il racconto della Muzzarelli.
Nella storia dell’uomo la cucina è andata ben oltre il semplice soddisfacimento delle necessità primarie e ha assunto una simbologia ricca di significati e sfumature, laddove il cibo ha incarnato metafore legate al consumo, all’offerta, al bene desiderato.
Già solo dal titolo della conferenza si può intuire quali risvolti vitali la cucina abbia rivestito nella storia, dai più nobili, quali la cura e l’amore, ai più perversi, quali l’avvelenamento.
La cucina, dunque, luogo fisico ma, soprattutto, metafora e simbolo al cui interno le donne sono state confinate, custodite, in parte recluse, sin dai tempi antichi, luogo nel quale esse han saputo progettare soluzioni e aggiustare relazioni, non solo per sé ma anche per altri.
Nei vocaboli latini venus, venia, venenum la donna medievale ritrovava una triade di riferimento inequivocabile che stigmatizzava la sua relazione con il cibo. Relazione da cui trarre, se vogliamo, potere: venus, come capacità di produrre affetti, venia come predisposizione a curare le malattie, venenum come inclinazione a indebolire sino ad uccidere. Relazione foriera di sentimenti di fiducia o di sospetto nei confronti della donna.
La Muzzarelli ha svelato questo mondo lontano, illustrando, con competenza e ironia, storie, leggende e aneddoti inerenti personaggi femminili che hanno lasciato importanti tracce di sé nel rapporto tra cucina e società, tra cucina e potere, tra cucina e religione, rapporti che spesso le hanno condotte a morti violente a causa del sorgere di una sapienza femminile che l’uomo medievale, prima, e l’uomo moderno, poi, mal tollerava.
Una prima figura femminile degna di nota è Trotula de’ Ruggeri, della scuola salernitana, che nell’XI secolo scrisse dei trattati di medicina su temi inusuali per il tempo, quali, in particolare, la ginecologia e l’ostetricia, registrando particolari conoscenze nel campo delle erbe e nel loro uso quali medicamenti, se trattate secondo specifiche ricette.
La cucina, nel caso di Trotula, diventa un laboratorio in cui sperimentare tisane, decotti, e pozioni, non ultima una bevanda da utilizzare contro la calcolosi a base di sassifraga e radice di gramigna, cotte in acqua e vino. Alcuni suoi lavori hanno avuto il pregio di essere tramandati nei secoli, prime testimonianze di una sapere femminile trasmesso ai posteri, nonostante i secolari tentativi di occultamento da parte della scienza e della cultura ufficiale.
Se Trotula fu una scienziata, non altrettanto lo furono altre donne che male imitarono polverine e pozioni, con scopi spesso meno nobili.
Tant’è che in Germania, sempre a ridosso dell’XI secolo, il prelato Burcardo, vescovo di Worms, compilò un documento penitenziale che, nella sezione dedicata alle donne, imponeva loro pene severe nel caso avessero fatto un uso inappropriato di certe sostanze. Qualche esempio curioso?
Recita il documento di Burcardo:
• “ hai fatto come alcune donne che prendono un teschio umano, lo bruciano e poi lo triturano ottenendo delle polveri da sciogliere in una bevanda da somministrare ai mariti per curarli? Se lo hai fatto, un anno di penitenza a pane e acqua nei giorni stabiliti,
• hai fatto come quelle donne che prendono il sangue mestruale e lo mescolano al cibo e alle bevande che somministrano ai mariti per essere maggiormente amate? Se lo hai fatto, cinque anni di penitenza nei giorni stabiliti,
• hai fatto come quelle donne che per rendere più amorevoli e irruenti i propri mariti si sono poste un pesce ancor vivo nelle parti intime sino a farlo morire, per poi cuocerlo o bollirlo primo di somministrarlo al loro consorte? Se lo hai fatto due anni di penitenza nei giorni stabiliti ”.
Insomma un decalogo piuttosto lungo, assai pittoresco e testimone delle variegate usanze del tempo in termini di sostanze alimentari e non solo, esempio di cultura popolare mista a magia.
Procedure e ritualità in cui le donne sapevano organizzarsi, consapevoli di poter arricchire o impoverire cibi e bevande a seconda delle loro reali intenzioni e tipologie di relazioni.
La Muzzarelli cita quindi, Ildegarda, monaca tedesca di nobili origini, mistica e profonda conoscitrice delle erbe e dei loro variegati impieghi, grazie ai quali poté sviluppare forme di medicina olistica e alternativa.
Conosceva poteri e caratteristiche di ben 230 erbe, con effetti moltiplicati dalla sua sapienza nel mescolarle, triturarle, filtrarle, attività nelle quali poteva contare sul solerte aiuto di ancelle e assistenti. Tanto lavoro per costruire una immagine professionale.
Nell’immagine tratta da un libro dell’epoca un uomo anziano, assopito, viene accudito dalla propria donna che, accovacciata dinanzi al camino, prepara un infuso con delle erbe predisposte su un vassoio da una vicina assistente. L’espressione fiduciosa dell’uomo cela eventuali preoccupazioni che potrebbe anche nutrire verso le misteriose abilità femminili nel somministrargli cure, amore o veleni.
Ildegarda vive quando nascono in Europa le prime università, luoghi di scienza e conoscenza, dai quali le donne vengono escluse per varie ragioni, non ultima per la credenza che il loro sapere fosse più di natura magica che scientifico.
L’ immagine di Esculapio che, con fare dottorale analizza, contro luce, una provetta mentre Circe infilza i rospi, sono un emblema della scarsa rilevanza scientifica di cui la donna godeva già a partire dal medioevo.
Il fatto che le donne fossero in grado di percepire sottigliezze e sfumature che l’uomo di scienza non era in grado di comprendere, contribuiva a peggiorare la posizione femminile, relegandola nel mondo della stregoneria e ai suoi terribili supplizi.
Matteuccia di Francesco, anch’essa nota guaritrice di malattie, sia fisiche che psicologiche, tramite decotti e altri metodi che trasferivano i mali agli elementi della natura, fu bruciata a Todi nel 1428, grazie all’intervento di Bernardino da Siena che convinse i giudici dell’impossibilità delle donne di avere un approccio scientifico alla medicina, ma piuttosto di nutrire un sapere di natura diabolica.
Nel 600’ viene condannata a morte Giulia Tofani, assassina seriale, accusata di aver inventato un veleno noto come “la manna di San Nicola”, composto a base di arsenico che la Tofani forniva a donne che lamentavano matrimoni infelici. Quale miglior correttivo nei confronti dei malcapitati consorti. Fu un macello.
Figura enigmatica e misteriosa fu Giovanna Bonanno, palermitana che nel XVIII secolo fu considerata una vera e propria imprenditrice dei veleni, conosciuta anche come “la vecchia dell’aceto”, per l’invenzione di un liquore acetoso contenente arsenico.
Con buona pace della parte più “matura” in sala, la conferenza si è conclusa su una fotografia tratta dal film “Arsenico e vecchi merletti” di Frank Capra in cui Abby e Martha somministrano il vino di sambuco corretto con arsenico ad anziani signori per allentare la morsa della solitudine e accompagnarli, in buona fede, verso un sereno trapasso.

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