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HomeIn primo pianoLa Tangentopoli infinita spiegata da Paolo Mieli e Marco Travaglio

La Tangentopoli infinita spiegata da Paolo Mieli e Marco Travaglio

L’Italia del 17 febbraio del ’92? “Lontanissima”, eppure ancora presente. Perché in vent’anni, dicono i dati della Corte dei Conti, la corruzione è decuplicata. Con una differenza: la classe politica di oggidi destra e di sinistra, ha lavorato molto per non ricascarci. Smettendo di rubare? No, depenalizzando i reati, provando ad abolire le intercettazioni. Rendendo difficile il lavoro dei magistrati”. I giornalisti Marco Travaglio e Paolo Mieli tornano in quel bagno del Pio Albergo Trivulzio da dove tutto è cominciato. Per sfatare alcune “balle”, come quella degli imprenditori “concussi”, o la presunta estraneità del Pci, che “misteriosamente non fu toccato ai piani alti”. E scoprire, con amarezza, che “gli italiani assomigliano ai politici che hanno eletto”: perché se Mani Pulite si è fermata è anche perché la corruzione è così diffusa da toccare “anche i piani bassi”. Tutti noi, il popolo dei dieci milioni di evasori fiscali di un Paese dove, precisa Travaglio, c’è una “legge elettorale che permette a persone come Luigi Lusi di non porsi il problema di un elettorato”.
Mentre in Sala Petrassi irrompe la cronaca, con la sentenza della Cassazione che dispone un nuovo processo per Marcello Dell’Utri, si torna all’Italia del ’92. Che, ricorda Paolo Mieli, era un Paese dove “i telefonini erano degli affari enormi, si appoggiavano sui tavoli e sembravano pistole, faceva molto cafone averli. E non venivano intercettati. Ebbene, è in questa Italia dove il debito pubblico continua a gonfiarsi, dove qualsiasi opera pubblica costa “da quattro a dieci volte più che negli altri paesi”, che scoppia quella che all’epoca era “una bomba atomica, l’evento più importante del dopoguerra. Spazzò via gran parte della classe politica e imprenditoriale. Ecco: vent’anni dopo le cose stanno peggio di prima. Ma su Mani Pulite sono state dette molte sono bugie”. In questa Italia, per un anno e mezzo “quei giudici di Milano avevano l’Italia ai loro piedi: la gente li applaudiva, lanciava loro fiori. Erano amatissimi, anche da coloro che in seguito li avrebbero avversati. Eppure quel capitale andò misteriosamente perso, l’elastico tornò al punto di partenza.
Quello che è rimasto, spiega Marco Travaglio, è la “tendenza suicida della classe politica, che anche oggi si sta avviando sulle sue gambe verso un altro suicidio di massa. Il comportamento miope delle classi dirigente meriterebbe una analisi psicanalitica, per come vanno al macello stroncandosi con le proprie mani. Nel ’92 non ci fu nemmeno bisogno di intercettazioni: semplicemente, una classe dirigente rapace si era mangiata tutto, non c’erano più soldi nelle casse dello Stato, si rischiava il default”.
Così, continua Travaglio, “a un certo punto gli imprenditori mollarono la classe politica perché non c’erano più appalti da prendere, e andarono a denunciare tutto ai magistrati. Dissero di essere pentiti e di essere stati costretti a pagare tangenti: la concussione fu una delle grandi balle dell’epoca. Nessuno nel gennaio del ’92 del pool di Milano aveva idea di come sarebbe dilagata l’inchiesta. In quel momento, era comico il fatto che alcuni politici si difendessero dicendo: “rubano anche gli altri”: usavano questi argomenti perché erano così sgomenti di essere trattati come ladri che non ci potevano credere, non avevano parole. Craxi disse di Chiesa: “È un mariuolo, una mela marcia in un cestino di mele sane”. Allora Chiesa rispose: “Venite che vi racconto il resto del cestino”. In seguito Craxi si giustificò così: “Qui rubiamo tutti”. Era un modo ricattatorio di trattare il problema”. Oggi, con la Corte dei Conti che denuncia una corruzione decuplicata, “non c’è nulla di cui meravigliarsi se abbiamo uno scandalo al giorno e usciamo dalla crisi con più difficoltà degli altri Paesi per la palla al piede dell’evasione e della corruzione.
Uno dei grandi misteri di Tangentopoli, racconta Mieli, riguarda il Partito Comunista. “Non è vero che il Pci non fu indagato – spiega – ma ci fu lo strano mistero per cui quando le indagini dovevano arrivare ai piani superiori si fermavano. Fu per la durezza di Greganti? Le coop rosse sono state indagate da 19 procure, ma misteriosamente non arrivarono mai a colpevolizzare i piani alti del Pci. Da qui, la conseguenza: Berlusconi ha mobilitato un sentimento che percepiva questa ingiustizia.

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