Di Stefania Taruffi
Così lo definisce la scrittrice Melania G. Mazzucco, che per anni ha studiato il pittore veneto e i cui testi sono presenti in mostra e nel catalogo (Skira), portando un contributo nuovo a una mostra pittorica, con dettagli informativi che aiutano a interpretare meglio il ‘personaggio’, nel contesto artistico e culturale del momento.
Le Scuderie del Quirinale presentano dunque (fino al 10 giugno 2012), la mostra “Il Tintoretto”. “Un’esposizione – sottolinea il Prof. Emmanuele F.M. Emanuele, Presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo – che s’inserisce nel programma ormai consueto delle Scuderie del Quirinale, che intende non solo rivisitare i grandi artisti del nostro paese, ma soprattutto offrire al visitatore una mostra esaustiva, scientificamente ineccepibile e al contempo spettacolare per allestimento e percorso”.
Il curatore della mostra, Vittorio Sgarbi, è pienamente riuscito in questo intento, anche grazie al sostegno dei maggiori musei del mondo, con una serie di prestiti eccezionali.
Jacopo Robusti, chiamato ‘Tintoretto’, nacque nel 1519 e fu uno dei più grandi esponenti della scuola veneziana e probabilmente, l’ultimo grande pittore del Rinascimento italiano. Certamente fu anche il pittore più ‘chiacchierato’, ‘arrischiato’ del suo tempo, come lo definisce la Mazzucco. La sua maniera sperimentale di dipingere (era autodidatta), la sua prolificità, il suo carattere aggressivo e competitivo, al di fuori degli schemi, suscitarono fra i contemporanei reazioni vivaci. Il ritratto che ne esce è quello di un genio bizzoso, anticonformista, dedito al lavoro, che da solo, con lo studio accanito e la forza di volontà, si era conquistato la gloria. Era anche un uomo libero, capace di rifiutare l’onorificenza di cavaliere dal Re di Francia, Enrico III, pur di non doversi inginocchiare davanti a lui e di scegliersi da solo i maestri. Del suo apprendistato non si sa nulla. Agli inizi i pittori imparavano il mestiere in bottega, impastando i colori, preparando le tele, disegnando e copiando modelli. Sembra che l’apprendistato presso la bottega del Tiziano terminò dopo pochi giorni, in quanto, dopo aver visto un disegno del Tintoretto, Tiziano lo cacciò via, temendo che l’allievo superasse il maestro e divenisse un pericoloso rivale.
Tintoretto, dunque, sceglie di fare esperienza da solo, ispirandosi ai grandi pittori veneti quali il Parmigianino, Michelangelo, Raffaello, Giulio Romano. A 18 anni diventa Maestro nella Fraglia dei Pittori e comincia a dipingere le prime opere. Dipinge sacre conversazioni, decorazioni per cassoni, palazzi e soffitti. Quando inizia, il mercato è saturo, pertanto lui lavora gratis facendosi pagare solo tele e colori. A quell’epoca c’erano alcune Scuole Grandi e un centinaio di Scuole piccole. Nonostante il Tintoretto avesse tra i maggiori committenti le Scuole Grandi, soprattutto quella di S. Rocco, egli continuò anche a dipingere per le Scuole Piccole, poiché voleva essere il ‘pittore di tutti’. Infatti i quadri dipinti per le Scuole Piccole erano destinati a tutti i fedeli, anche poveri e illetterati e ciò ne spiega il linguaggio realistico e l’immediatezza espressiva, che mira a coinvolgere i presenti nell’evento rappresentato.
Tensione drammatica, furore michelangiolesco, attenzione agli aspetti scenografici del teatro e dell’architettura oltre a una formidabile capacità di assimilazione delle novità e delle idee impostate dai grandi contemporanei: Tintoretto creò una pittura di tocco e di esasperato colorismo, per narrare ogni aspetto della miseria umana con partecipata commozione.
Il primo piano espositivo apre con quell’icona della modernità rappresentata dal maestoso Miracolo dello Schiavo delle Gallerie dell’Accademia di Venezia: una scena di crudo realismo, quasi sovrannaturale, nell’immagine di S. Marco che scende in carne e ossa a liberare lo schiavo che per sua devozione, subiva il martirio. Uno scorcio prospettico e di luci che annuncia l’arte di Caravaggio e nel quale si ritrovano tutti gli stili dei grandi dell’epoca. “Nella sua piena disponibilità di adolescente, il pittore si ritrova in un periodo di grande fermento: arriva Giulio Romano a Mantova, il Parmigianino è visto come il nuovo Raffaello a Parma, ha a disposizione tutto il Tiziano utile, guardando alla pari anche Michelangelo. In questo quadro del 1548 – spiega Vittorio Sgarbi – si sentono dentro tutti: Michelangelo, Raffaello, Parmigianino, Tiziano, in una sintesi meravigliosa e insuperata”. Tintoretto era un rivoluzionario in tutti quelli che erano considerati i fondamentali della pittura, ed ecco che lo schiavo è in primo piano nudo e in luce, mentre il Santo è in secondo piano, in alto e a testa in giù.
Seguono le principali committenze ecclesiastiche, in un racconto che evidenzia la strettissima connessione tra il pittore e la sua città, Venezia. Il ritrovamento del corpo di S. Marco e le magnifiche tele raffiguranti Santa Maria Egiziaca in meditazione e Santa Maria Maddalena leggente, della Scuola Grande di S. Rocco, restaurate in occasione della mostra.
Al secondo piano, alla pittura religiosa di temi devozionali si accompagnano alcuni tra i massimi capolavori della ritrattistica del Tintoretto e della pittura profana, che rappresenta la bellezza femminile, favole mitologiche rappresentanti dee, commissionati soprattutto da privati (prelati, aristocratici, mercanti), che spesso li celavano nelle loro stanze.
Al termine una sezione straordinaria, molto interessante, per raccontare il mondo artistico con cui l’artista si confrontava, fra cui il dibattuto rapporto con il grande Tiziano.
TINTORETTO – Scuderie del Quirinale Via XXIV Maggio, 16
25 Febbraio – 10 giugno 2012
Orario
Da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00
venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30