di Odilia Broya de Lucia
Duemilaottantanove anni fa, ovvero il 24 Agosto del 79 a.C., eruttava il Vesuvio, quel gigante buono che per anni fu considerato dai romani la
dimora di Bacco per la qualità e l’abbondanza delle sue uve, ma che con una terribile esplosione, seppellì interamente le città di Pompei ed Ercolano e tutto ciò che in esse era racchiuso.
Oggi la fama di questi siti li precede in quanto casi unici al mondo; la violenza dell’ esplosione fu tale da generare la totale pietrificazione di quanto le scie infuocate di lava incontravano e la quantità di detriti che ricoprì le città per metri e metri contribuì alla creazione di una vera e propria diapositiva storico-archeologica di quel tempo.
Gli scavi a Pompei, oggi patrimonio dell’Unesco, furono iniziati grazie alla dinastia dei Borbone delle due Sicilie ma furono piuttosto irregolari, fu infatti solo dal 1860 che proseguirono sistematicamente liberando man mano la città dallo strato di cenere e lapilli di circa sei metri da cui era ricoperta e aprendo una finestra sulla vita quotidiana della città, sugli usi e i costumi della popolazione romana, sulle abitudini sociali, politiche e talvolta alimentari e consegnandoci reperti di ineguagliabile valore come la serie di pitture parietali delle case e delle ville di consoli, poeti, classi nobiliari ma anche di artigiani e panettieri.
Il Museo Archeologico di Napoli, il quale da sempre ospita il materiale
superstite delle città vesuviane, ha da poco riaperto al pubblico, dopo un lungo periodo di restauro, la magnificenza di queste pitture, che rappresentano riproduzioni più o meno fedeli di pitture originali greche ma innanzi tutto sono testimonianza dell’arte del tempo nel quale furono eseguite.
L’allestimento tematico e cronologico, consente di cogliere le trasformazioni e il susseguirsi di quelli che vengono definiti i quattro stili pompeiani, sebbene non ci siano pitture appartenenti al cosiddetto primo stile in quanto, non essendo figurato, le pitture non vennero mai staccate dalle domus.
Dalle fantasie architettoniche e prospettiche del secondo stile pompeiano si passa ad uno stile del tutto opposto: questo terzo stile, detto anche ornamentale, implica una parete senza profondità, decorata da colori intensi ed eleganti ( rosso, bianco, nero ), scompartita da esili candelabri o da sottili viticci lineari.
Il quarto stile riprende gli scenari architettonici interpretandoli in senso puramente fantastico e diviene meno allusivo, più vicino al gusto locale, come mostrano le Afroditi dalle pesanti pettinature a riccioli di moda in quel tempo.
Fuori dalla tradizione degli stili sono i ritratti dipinti che ebbero particolare rilievo in età romana; la fragilità dei supporti ha purtroppo provocato la perdita della maggior parte di questi affreschi, conferendo dunque a quelli superstiti pompeiani notevole importanza, come nel caso del famoso ritratto di Paquio Proculo e la moglie, due borghesi agiati, che scimmiottano l’atteggiamento dei grandi aristocratici romani.