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Stato o pusher?

di Marzia Santella 

E’ un fenomeno che si intensifica sempre nei momenti di crisi: l’aumento dell’attitudine al gioco. Lotterie, gratta e vinci, casinò, poker, scommesse e chi più ne ha più ne metta.
Meno soldi si hanno in tasca più cresce, proporzionalmente, l’illusione di arricchirsi facilmente. Reso noto l’incasso, del solo duemilaundici, per i giochi legalizzati: ottanta miliardi di euro, ed è solo la punta dell’iceberg. Ci si rende conto che più che un’illusione, si tratta di una grande allucinazione collettiva. Certo ben sessanta miliardi sono stati distribuiti per le vincite. Nove miliardi si rimettono nel gioco, nove miliardi distribuiti tra i gestori dei giochi rimane un utile di due miliardi di euro.

Di questi tempi di austerità: undicimila imprese chiuse, Veneto a lutto per un numero considerevole di imprenditori che hanno pensato al suicidio come estrema soluzione, migliaia di persone che vanno a mangiare ai centri della Caritas, mi sembra una cifra altissima di cui non si conosce mai la destinazione. Qualche anno fa lo Stato aveva affermato che i soldi provenienti dai giochi sarebbero stati utilizzati per il mantenimento e restauro dei Beni Culturali sarebbe stata una bellissima idea.
Visto però lo stato  di conservazione di Pompei sbriciolata sotto il temporale, L’Aquila sotto ponteggi da anni, e miriadi di altri gioielli artistici e architettonici allo sfascio è evidente che qualcuno se ne appropria illecitamente. Per le società e’ d’obbligo pubblicare i bilanci, chissà come mai certi proventi non hanno lo stesso obbligo. Lo Stato suscita illusioni nelle persone che per un gratta e vinci spende anche dieci euro e spesso vince qualcosa la prima volta: come a dire la prima dose  è gratis. Si comporta come uno spacciatore, un pusher: si insinua con lo spot anti evasore poi ti propone pattinati spot sul poker legalizzato.
Scusate, mi ero dimenticata: nello spot del poker hanno precisato che si deve giocare responsabilmente. Come la mamma che ti dice: “Esci a giocare, ma non sudare!”. Il gioco qui, come in ogni parte del mondo capitalistico, è una piaga sociale che affligge tutte le classi sociali seppur con modi diversi. Dall’operaio attaccato alla slot nel bar sotto casa perdendo lo stipendio in poche ore, al manager che si lancia in tornei  di poker on line o veri, scommesse sportive legali o meno. Casalinghe e imprenditori: nessuno è escluso. Giocare responsabilmente è un paradosso in termini perché chi gioca difficilmente riesce a fermarsi. E’ una dipendenza come l’alcool e le droghe. Da quando si svegliano  pensano a combinazioni, tattiche e mosse che poi vincenti non sono. Perdendo, alla lunga, lavoro e famiglia. Indebitando sé stesso e coloro che gli vogliono bene. Può un Paese toglierti dal portafoglio con tasse di ogni tipo, bollette e imposte i soldi e poi illuderti di rifarti con il gioco ed il “Win for Life”? (Il nome in inglese poi anti patriottico).

Io trovo che sia un atteggiamento, sotto un certo aspetto, poco etico: il tuo Paese dovrebbe proteggerti come una sorta di grande genitore, invece il Nostro ci spinge sul baratro del fallimento e nelle mani poco premurose degli usurai o del monte dei pegni. Chiedo a chi  gestisce questi fondi, i due miliardi di euro li mettesse a disposizione delle imprese al collasso per permettere di continuare il lavoro e far crescere l’occupazione. Le Banche non lo fanno, seppur ricevendo fondi a tassi all’un per cento, impegnate a comprare titoli di stato chiudendo il credito alle aziende, addirittura rifiutando gli immobili come garanzia.
L’economia non è fatta solo di spread. “Il destino fa fuoco con la legna che c’è”, afferma Baricco.

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