di Cinzia Colella
Il cervello è un organo. Troppo poco: il cervello è uno scrigno, un caleidoscopio di immagini, di suoni, di ricordi, di emozioni. Le fibre di questo molle ricettacolo di terminazioni nervose racchiude gran parte del senso di noi.
Due emisferi, due universi che si intrecciano e si completano per fare sì che le percezioni si tramutino in sensazioni e si fissino nella mente per lunghissimo tempo.
Un circuito complesso che mette in relazione diversi piani di conoscenze, molteplici canali ricettivi per pianificare risposte emotive, motorie, comportamentali.
L’acquisizione di conoscenza è tra le funzioni fondamentali che si possono ascrivere al cervello. E l’arte rappresenta una delle più raffinate modalità di apprendimento. Osservare è il risultato di una trasformazione del mondo percettivo in cui giocano un ruolo importante anche la cultura e persino stato d’animo.
“La bellezza delle cose esiste nella mente di colui che la contempla”, disse David Hume e allora qual è il ruolo di questo organo nell’interpretazione del bello? E’ la domanda alla quale hanno cercato di dare una risposta i protagonisti della tavola rotonda “The beautiful brain” scienza e arte. Il ruolo del cervello e della mente nell’interpretazione del bello”, tenutasi a Roma in occasione del premio Atena Onlus (Associazione per le terapie neurochirurgiche avanzate) 2012.
L’esperienza estetica coinvolge molte strutture cerebrali; ciò è vero sia per il momento creativo dell’artista, sia per l’emozione procurata in chi esperisce la bellezza di un dipinto, di una poesia o di note musicali. E’ quindi nel segreto della complessità del cervello che si radica la fonte della gioia e del piacere.
Grazie agli studi di neurologi e scienziati che si sono serviti della risonanza magnetica funzionale è stato possibile vedere come “il bello, il desiderio e l’amore attivino la stessa parte del cervello”, dichiara Semir Zeki, Professore di neurobiologia alla University College di Londra, dimostrando così la connessione tra queste regioni spirituali nell’individuo.
Di fronte al bello si registra un’intensa attività corticale, simile a quella procurata dall’eccitazione, a cui segue una fase di rilassamento, anche questa facilmente paragonabile a quella di un atto amoroso appena concluso.
“Il bello fa bene, una sorta di farmaco interno che auto stimola a stare bene” afferma Lamberto Maffei, Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, a cui fa eco la dichiarazione provocatoria, ma non troppo, del Professor Giulio Maira, Ordinario di neurochirurgia Università Cattolica di Roma e Presidente dell’associazione Atena Onlus: “L’arte può aiutare a ‘rallentare’ il progredire dell’Alzheimer e delle malattie neurologiche. Il cervello ha bisogno di riattivare le sue reti neuronali e un quadro è qualcosa che non lascia inerti, che risveglia emozioni o che può risvegliare ricordi passati”. In pazienti ”con una malattia sono tentativi che possono dare in futuro risposte importanti” perché sono tecniche che ”possono accompagnare i pazienti nel loro percorso mantenendo il cervello attivo”.
Un universo sommerso di cui tutti, però, ne percepiscono l’infinito potenziale e, parafrasando le parole di Papa Giovanni Paolo II, citato più volte: è bello quello che sappiamo, ma lo è ancora quello che deve essere ancora scoperto.