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Alessandro Mannarino incanta al Foro Italico

testo: Francesco Corbisiero – foto: Serena De Angelis
Se pensate che gli stornellatori appartengano solo ed esclusivamente alla tradizione della Roma dell’800, vi sbagliate di grosso. Prova ne è un’artista non più emergente, ormai salito alla ribalta delle cronache musicali nazionali per il modo tutto suo di cantare la vita, la morte e i miracoli sotto il Cuppolone e nelle periferie della Capitale. Stiamo parlando di Alessandro Mannarino, voce roca e consumata, tratti gitani e vestiti neri. A metà tra il folk, che strizza l’occhio a padri celebri come Trilussa per i temi e il filone che prende il via da Tom Waits per le musiche, un Capossela veracemente romano e molto meno marinaio. All’attivo con due album, si è esibito  ieri sera al Foro Italico, incantando con il suo repertorio e canzoni che raccontano delle vite violente di vagabondi, mignotte, ubriaconi e reietti. Di chi diserta la vita nell’accezione borghese e ottimista che la nostra società le conferisce. Basta una chitarra, un’orchestra, le parole giuste e poco altro per farlo. Il successo è stato evidente, per l’unicità e il piglio mai commiseratorio nel raccontare storie dolorose ma sempre piene di dignità, che sotto la patina di disperazione covano un’immensa voglia di riscatto, in questa vita o nell’altra, se c’è. Dal buio, d’altra parte, bisognerà pure imparare qualcosa. Un cantastorie, quindi, più che un cantautore, di quelli che apre gli occhi e aiuta a scoprire quanto Sudamerica abita la Suburra. Statelo ad ascoltare.
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