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Università pubblica: un mondo difficile e futuro incerto

Di Anna Esposito
Avevano guadagnato la ribalta delle cronache i bamboccioni: li vogliono fuori di casa dopo il diciottesimo anno d’età, anche elargendo bonus di 500 euro. E “un problema di cattiva distribuzione del welfare” sostiene il ministro Brunetta, si spende troppo per le ‘cattive’ pensioni e così restano pochi soldi per i giovani.
Aiutare i giovani: lo scopo è nobile. Il bonus di 500 euro, come borsa di studio o prestito d’onore, dovrebbe consentire ai giovani che ne manifestassero la necessità di lasciar casa e continuare a studiare o aprire un’attività. La frustrazione delle aspettative purtroppo è legata a problemi strutturali, come quelli che riguardano la scuola e l’università pubblica, ridotte allo stremo tra crisi economica galoppante e tagli dolorosi. L’università italiana pare come la bella Nèmesi, corre disperata per sfuggire alle grinfie di Zeus e purtroppo le metamorfosi stanno dimostrando i loro effetti più deteriori. Si sono avvicendati i governi ma, pur nelle diversità evidenti delle scelte politiche attuate negli anni, il sistema universitario pubblico italiano ha subito amputazioni dalle implicazioni critiche, la scure è stata impietosa e il diritto allo studio non pare più così scontato. I numeri scandiscono l’entità del dissanguamento.
La legge 133/08 mette mano al Fondo di funzionamento ordinario (Ffu), fonte principale di risorse da cui attinge il sistema universitario. Nonostante il d.l. 180/2009 abbia tentato di attenuare la portata dei tagli, la diminuzione dei fondi prevista sarà di oltre 946 milioni di euro in cinque anni. Per accorgersene è stato necessario aver pagato le tasse universitarie, che a seguito dei tagli hanno subito un sostanziale aumento, mentre ad abbassarsi vorticosamente è la qualità dei servizi formativi offerti, a meno che non si abbia la possibilità economica di ricorrere al sistema scolastico e universitario privato. A confermare i timori anche il rapporto dell’Ocse, secondo cui l’Italia spenderebbe un timido e aleatorio 0,9% del proprio Pil in favore dell’università rispetto ad una media europea che si attesta intorno all’1,5%, mentre ad essere rimasti pressoché invariati sono stati i finanziamenti per gli atenei privati, baluardi inespugnabili.
Sopravvivano le eccellenze, questo sembra essere stato il leit-motiv che ha ispirato le intenzioni del Ministro Maria Stella Gelmini in aria di riforma e in tempi di crisi. Consideriamo alcuni dati interessanti, quello ad esempio delle borse di studio destinate agli studenti più meritevoli, appartenenti però ad una bassa fascia di reddito. Se analizziamo l’anno accademico 2007-2008 la copertura media della spesa per le borse di studio s’è aggirata intorno ai 460 milioni di euro, in parte pagati con fondi statali (152 milioni), in parte con fondi regionali (125 milioni) e con la tassa regionale per il diritto allo studio (180 milioni). Ciononostante non è stato possibile garantire a tutti gli aventi diritto la copertura della borsa di studio, perché l’ammanco per la copertura totale sarebbe stato di 95 milioni di euro. La riforma Gelmini prevede di ovviare al problema con l’istituzione di un fondo nazionale per il “merito” al quale ci si potrà iscrivere, come ad una lotteria, sperando di poter essere sorteggiati e vincere così il diritto alla propria borsa di studio.
Intanto la dispersione scolastica è un fenomeno in preoccupante aumento, la crisi certo non aiuta, soprattutto considerando che uno dei motivi di questa tendenza negativa è la necessità dei ragazzi di sostenere l’economia familiare. Ad aggiungersi alle proteste largamente condivise da gran parte del mondo della scuola giunge oggi anche il monito dei vescovi che dalle pagine di Avvenire invitano a non speculare per ragioni politiche sulla pelle dei ragazzi, definendo l’inizio dell’anno scolastico “confuso e con ombre”. Resta certa l’incertezza dunque, ma è un mondo difficile.

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