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Buon compleanno Carlos Santana!

testo: Francesco Corbisiero – foto: Stefanino Benni
Scena: c’è una macchina, una Passat bianca senza sedili in pelle. Alle spalle si porta i primi anni del nuovo millennio. Dentro, al posto del guidatore, un uomo sulla cinquantina abbondante coi capelli bianchi sporcati qua e là da qualche ciuffo biondo che resiste al tempo. A fianco a lui, un ragazzino paffuto che il mondo non sa neanche cos’è. Partono, tutti e due, chissà verso dove. Viaggi brevi o lunghissimi, ma partono. Nello stereo, assoli di chitarra spettacolari e barocchi, caldi come un pezzo di Meridione del mondo.
Il Messico è un luogo che non direbbe niente a nessuno se non fosse un ponte che congiunge il Nord civilizzato con quell’ingombrante penisola flamenca considerata da sempre ( e trattata

foto: Stefanino Benni

come ) il cortile di casa degli yankee. ‘Faccia triste dell’America’ un cazzo, ci si diverte in Messico e in generale in ogni Sud, complice il caldo. Gli anni ’70 sarebbero solo uno scheletrino da nulla nell’armadio della Storia se a musicarli non ci fosse stato il progressive rock. Senza di esso, rimarrebbe ben poco. E ci sono stati uomini che hanno unito le due cose ( il Messico e gli anni ’70, intendo ) aggiungendone altre mediante 5 corde, si sono ricordati di versare la psichedelia nel bicchiere del free-jazz  ( per cercare esperimenti del genere in Italia, vedi alle voci ‘Area’ e ‘Demetrio Stratos’ ) shakerandolo sapientemente con il rock e percussioni latine e selvagge e musica etnica della tradizione sudamericana, aggiungendo tequila. Creando musica talmente sensuale e maschia che un volta tornato a casa con la tua compagna dopo una serata metteresti volentieri sul giradischi uno qualunque di quegli album ( uno vale l’altro, la qualità è la stessa, cioè altissima ) per accompagnare il rumore corpi svestiti che s’incontrano, aggiungendo orgasmo ( fisico ) a orgasmo ( musicale ).
Il barista che vi serve quest’intruglio è un uomo che non ha perso mai e poi mai la voglia di far scivolare le dita su una chitarra. Se vi rivolgete a lui, dovete chiedergli solo quel cocktail, perché è solo quello che sa fare con precisione e perizia di vero maestro ( per altre mescolanze chiedere altrove ). Uno di quelli che sono leggende a tal punto da far bastare il proprio cognome per  l’identificazione ( tipo Morrissey, tipo Bowie, ecco, a quei livelli lì ). Uno che ha partecipato nientemeno che a Woodstock. Il barista è uno bravo e non vi servirà schifezze se cercate roba buona e vera da ascoltare. Come tutti gli uomini scafati ha una carriera longeva nel suo campo, tra gli alti degli anni ’70 e i bassi degli anni ’80 per tornare a graffiare ancora, vecchio leone, alla fine del secolo, per consegnare ai posteri il suo lascito artistico. Insomma, sa quel che fa, e non v’inganni quell’aria da eterno fricchettone latino coi baffi, è solo un po’ eccentrico e le tradizioni le vive a modo suo. E’ un compositore non eccelso, ma un grandissimo chitarrista, uno che quando lo chiamò un altro garzone in quel’enorme bottega che si chiama Rock’n’roll ( tale Eric Clapton – dicono fosse piuttosto bravo – uno tra i migliori a servirti portate di musica indimenticabili ) a suonare con lui, da pari a pari si permise il lusso di rispondere ‘no, grazie’.
Il barista sfortunatamente non ha figli, nessuno che abbia preso in consegna la sua eredità, nessuno che abbia voluto essere adottato. Niente eredi, nulla, anche se i proseliti non gli mancano. E questo può sembrare amaro e demotivante e invece no, vi sbagliate, perché lui se ne frega e si diverte ancora alla grande e alla morte non ci pensa, nonostante sia avanti con l’età. Il barista poi, se lo vedi, è un giovane con le rughe sulla fronte. Quindi, perché preoccuparsi?
Se non è ancora chiaro, quel barista si chiama Carlos Santana. Proprio oggi compie 65 anni, valeva la pena ricordarlo. Per tutti i motivi che vi ho elencato e per altri, decisamente più personali.  Perché,  sì, mi dimenticavo di dirvelo, la musica che suonava in quell’automobile che solcava le strade di mezza Italia era quella di ‘Abraxas’, vero capolavoro dei Seventies. Quell’uomo che guidava, mio padre, che mi ha cresciuto ( vivaddio ) a pane e Velvet Underground. E il ragazzino con quel taglio di capelli improponibile affacciatosi da poco alla vita ero io. A 12 anni ( a dispetto di quanto pensava Mario, il direttore di questo giornale, che chiedendomi quest’articolo, credeva che io Santana non sapessi neppure chi fosse 🙂 ).
Buon compleanno Carlos, e soprattutto grazie.
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