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Ecologia del vivere: Dal Downshifting al Deleveraging, quando il cambiamento non è più una scelta

Di Stefania Taruffi
Non è un inglesismo forzato, ma queste due parole rendono perfettamente l’idea del concetto che esprimono e si sa, molte parole sono intraducibili, così come un nerd, resta un nerd.
Il fenomeno del downshifting , tema da me trattato in precedenza, altro non era  che un lento e progressivo processo di cambiamento nel tessuto sociale, in un momento di crescente difficoltà socio-economica, riconducibile a un salubre ‘ridimensionamento’ dei tenori di vita, dei ritmi frenetici, delle aspettative di ciascun individuo, per acquisire un crescente benessere personale, in linea con i propri desideri e una sostenibilità dell’esistenza anche in termini di felicità personale e godimento del presente. Da questa filosofia hanno attinto molti ‘creativi culturali’, altro tema da me affrontato tempo fa. Trattasi di persone che hanno avuto il coraggio di scegliere strade difficili, seguendo i loro sogni e desideri più profondi, anche a scapito di un minore benessere economico. Una scelta di vita dunque, che porta alla rinuncia di un percorso sicuro e segnato per intraprendere la strada più congeniale al proprio essere interiore.
Ora ci troviamo in una fase diversa, che in un certo modo segna anche il superamento del downshifting (ridimensionamento), come scelta di vita:  il ‘deleverage’. In poche parole: il debito pubblico italiano da ridurre pro capite. Non è proprio una scelta personale, ma piuttosto forzata, in altre parole il nostro paese ha un debito pubblico e ci ha chiesto di ‘ridimensionarci’ nel contribuire a pagarlo: ca’ 32 mila euro ciascuno, neonati compresi. Un bel peso anche sui nostri figli e sul loro futuro. Ma non abbiamo scelta. Tutta la società deve vivere e lavorare ripagando i debiti contratti dai governi che si sono susseguiti  dagli anni ’80 in poi. Ci si riscopre più poveri e si deve lavorare e produrre di più, rinunciando anche alla qualità della vita. La società risponde dunque  in due modi, anche secondo il reddito: per alcuni cambia poco o niente. La maggior parte si riscopre molto più povero e lavora il doppio, per sopravvivere in un regime di downshifting  forzato. Alcuni scelgono la rassegnazione, riducono drasticamente i consumi  e se ne fanno una ragione, rafforzando la socialità.
Credo che i mercati ci abbiano fatto un favore, perché eravamo diventati troppo superficiali, spreconi  e molto egoisti.   Certi lavori nessuno li voleva fare più nessuno e abbiamo consegnato una larga fetta del mercato del lavoro agli stranieri e agli extracomunitari, che grazie alla loro voglia di lavorare ed emergere, stanno a volte meglio di noi. E ora abbiamo una disoccupazione crescente e un mercato saturo e senza denaro. La crisi aumenta la creatività, ci si deve reinventare per sopravvivere; rafforza la cooperazione e le famiglie uniscono le risorse, le ottimizzano, le ridistribuiscono al loro interno, facendo scudo contro la povertà incombente e le crescenti difficoltà quotidiane. Stanno rifiorendo le botteghe artigiane che riparano ogni cosa, perché gli oggetti che si rompono, o non vanno più bene, sono aggiustati, non più eliminati, costa troppo. Resuscitano i negozi  del riciclo, del baratto,  delle permute, anche le aziende senza liquidità, ripagano i fornitori in servizi o merci. Rivanno di moda i divertimenti che non costano nulla o poco: un gelato e due chiacchiere con gli amici e il ciambellone fatto in casa, che è più sano e costa poco. Mi auguro che rifioriscano anche l’impegno sociale e politico, perché abbiamo un bisogno estremo di nuove menti, idee, proposte che diano origine a movimenti e partiti in cui riconoscersi, disconoscendo la classe politica che ci ha portato a questo punto e rinnovandola completamente. Per ricominciare daccapo.

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