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Made in Eataly

di Mariano Colla
Immersa nella calda estate romana, con le grandi vetrate illuminate da potenti lampade a led, costellata da accattivanti cartelloni pubblicitari, la mecca del buon gusto ha ridato vita a una struttura decrepita, a un cadente mausoleo, lascito di un mondiale di calcio spendaccione, arida testimonianza di incuria istituzionale e di spreco di denaro pubblico.
Eataly ha aperto i battenti a Roma.
Nell’Air Terminal della stazione Ostiense, la struttura realizzata, appunto, per i Mondiali di calcio del 1990 dall’architetto postmoderno Julio Lafuente, Eataly, a poco più di due mesi dalla sua inaugurazione, è diventata centro di richiamo per l’intera comunità romana, e non solo, e i grandi e luminosi spazi dell’edificio hanno riacquistato vitalità e centralità nei ritmi della capitale.
Trascinato da un insistente passa parola non ho potuto astenermi da una visita di rito al nuovo tempio del buon gusto, anche se non amo in particolare i luoghi affollati.
Mi dicono che migliaia di persone si addensano ogni giorno all’interno della struttura ideata dal genio di Oscar Farinetti.
Famiglie, pensionati, imprenditori, ristoratori, coppie di innamorati, single, sacerdoti, turisti si affollano nel dedalo di spazi e corridoi creati ad hoc per stimolare l’occhio ancor prima del palato.
Una massa cosmopolita è preda del turbinio di offerte enogastronomiche che l’imprenditore piemontese, già reduce dal pari successo ottenuto a Torino, ha saputo mettere insieme, grazie anche alla cultura delle eccellenze alimentari italiane, esaltate dal movimento “slow food”.
Mi sono immerso anch’io nel flusso di persone che un po’ stupite, un po’ curiose, un po’ affascinate vagavano per gli spazi attrezzati del vecchio terminal dell’Ostiense, spazi sapientemente collocati, quasi ad evocare le atmosfere dantesche del 6° girone.
Circondato da tanta abbondanza provo quasi un senso di smarrimento.
Ovunque poso lo sguardo, ammiccante e invitante è il richiamo al piacere del gusto e al consumo, entrambi guidati da una sapiente regia che ha saputo cogliere i più reconditi desideri della gola.
Stuoli di chef, inservienti, camerieri, impeccabili nel servizio e nell’attenzione al cliente, recuperano quel senso di efficienza e di gentilezza che non sempre han fatto parte della ristorazione romana.
Nel vociare convulso della massa di avventori colgo, oltre a una lecita curiosità, l’immancabile presenza legata alla tendenza e alle seduzioni della moda.
L’evento, in una Roma un po’ sonnacchiosa, è degno di nota e quindi recarsi da Eataly è un “ must”.
Tra gli amici nasce quasi spontanea la domanda: “sei stato da Eataly?”.
Forse in tutto ciò vi è anche la ricerca di un luogo di aggregazione, di una dimensione che comunichi qualche emozione in più rispetto alle anonime ammucchiate negli ipermercati.
Pur tuttavia non posso esimermi dal percepire un pantagruelismo proprio dei villaggi turistici o l’ossessione del “grande è bello”. Insomma l’esaltazione del dio consumo.
Dai banchi e ristoranti dedicati alla lavorazione del pesce e della carne, alla pasticceria, alla fabbrica della birra, ai grandi forni a legna che cucinano il pane, alla produzione in loco delle mozzarelle di bufala, agli orti didattici, alla tostatura del caffè, alle verdure a chilometro zero, tanto per citare alcune specialità, nugoli di persone si addensano alla ricerca dell’esperienza culinaria, in un vociare convulso che ricorda i suoni della Vucciria.
In un caleidoscopio di profumi e di essenze che stimolano anche i più refrattari succhi gastrici, si celebra la dimensione dell’abbondanza.
Le cucine a giorno mostrano l’incessante attività di cuochi e inservienti alle prese con un susseguirsi frenetico di comande, ma l’astuzia di Eataly sta nel non differenziare eccessivamente l’offerta ma, viceversa, nel proporre i piatti del giorno dettati dalla freschezza degli ingredienti.
E ciò comporta anche una certa rapidità nel servizio.
Nell’intento di non perdere l’occasione per vedere, assaggiare, acquistare, la gente si affretta, con ritmi quasi frenetici, chi a visitare un banco, chi a leggere ricette, chi a porre nel carrello della spesa quella salsa o quel prosciutto, chi a provare il ristorante preferito, in un turbinio di voci che si inseguono e di persone che si chiamano.
Non mancano tentativi di prevaricare il prossimo nel procurarsi un tavolo a cui sedersi.
La formula Eataly non prevede, infatti, prenotazioni anticipate o gestione delle file all’ingresso dei singoli ristoranti. Chi prima vede un tavolo libero, prima se ne appropria.
Battere il concorrente sullo scatto è fondamentale, onde evitare inutili discussioni che, non essendoci un maitre a giudicare le priorità, implicano un pizzico di cortesia per non apparire teatralmente cafoni.
Sono quasi le 23 di un giorno feriale dei primi di Agosto e non avverto flessioni nel flusso di persone che affollano i padiglioni.
Nel moderno mondo del marketing, laddove ogni comportamento umano viene diligentemente sezionato al fine di percepire aspettative razionali od emotive quali leve per azionare i meccanismi d’acquisto, il caso Eataly rappresenta un caso di grande successo per i “guru” del mercato. Forse anche i sociologi potrebbero dire la loro.
Più semplicemente potrebbe essere che i romani non vanno più in vacanza e sostituiscono spiaggia, ombrelloni e il triste mare di Ostia, sempre più caro, con una cenetta che, sebbene non a buon mercato, rappresenta comunque un diversivo nel cupo orizzonte che la crisi economica ci para dinanzi.
In effetti Roma nei caldi mesi estivi ha perso lo smalto che aveva acquisito con i primi anni dell’estate romana.
Le arene ripropongono i film dell’ultima stagione e non si avventurano in rassegne più stimolanti e, in generale, l’attività socioculturale non brulica di iniziative particolarmente interessanti.
Eataly diventa allora centro di richiamo, e l’improvvisato avventore ha, se non altro, la sicurezza di mettere sotto i denti qualche cosa di particolare e qualitativamente eccellente.
L’iniziativa ha dato lavoro a circa 500 persone molte delle quali giovani e, in un periodo di magra lavorativa, è un fatto lodevole già di per sé, e lo è ancora di più se si considera l’effetto di traino economico su alcuni settori alimentari della nostra produzione nazionale. Alcune nostre eccellenze sono imbattibile e quindi onore a chi le sa valorizzare.
Certo Eataly non è il luogo per l’intimità a meno che non si scelga il costoso ed esclusivo ristorante del terzo piano.
Il vociare di centinaia di persone non rende agevole il dialogo, i tavoli sono molto vicini, ma l’atmosfera da sagra paesana, che sembra caratterizzare l’ambiente, attenua le esigenze comunicative.
Lasciandomi alle spalle gli ultimi frettolosi visitatori esco nuovamente nella calda notte romana, non prima di aver gustato un eccellente cono di gelato artigianale.
Figure cariche di buste o dai carrelli stracolmi si avviano verso il grande parcheggio, e l’intenso brusio lentamente si dissolve.

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