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Le Grandi Emozioni

di Mariano Colla
La recente notizia della morte di Neil Armstrong ha certamente suscitato in molti il ricordo di una forte emozione.
Le immagini sbiadite dell’astronauta hanno rievocato suggestioni sopite di fine anni 60’, suggestioni generate dal sogno americano e da un progresso scientifico dominato da componenti ideali al limite della realtà e permeate di un certo romanticismo, quali , appunto, quelle legate alla conquista dello spazio.
Armstrong , come Ulisse, eroe epico che viaggia alla ricerca della conoscenza.
Il ricordo di quei fatidici minuti di 43 anni fa, quando la Luna fu infine violata, rimane chiaro e indimenticabile in chiunque ne sia stato ammirato spettatore.
Indelebile è, infatti, la grande emozione provata in quella lontana notte del 20 luglio del 69’ quando, ragazzo, fremevo, come milioni di cittadini nel mondo, dinanzi alle sbiadite immagini che la TV in bianco e nero ci trasmetteva delle fasi dell’allunaggio e dei primi timorosi e incerti passi dell’uomo sul nostro satellite, laddove l’appassionato commento di Tito Stagno e Ruggero Orlando contribuiva alla magia del momento.
Emozione e paura si contendevano il senso di trepidazione che permeava, quella notte, l’intensa partecipazione di una società ancora in parte a digiuno di grandi “performances” tecnologiche e, pertanto, ancora soggetta a quel pizzico di ingenuità che generava stupore, meraviglia, sorpresa.
Emozione per l’unicità e la spettacolarità dell’impresa e paura per l’incombente rischio di una tragedia, pronta a materializzarsi da un momento all’altro, qualora qualche piccolo ingranaggio del complesso sistema scientifico si fosse inceppato.
In quel momento l’uomo compiva uno straordinario passo nella scoperta dell’universo.
Passione e partecipazione alimentavano sogni ed entusiasmo per l’umanità futura.
Lo strascico emotivo di quell’evento durò a lungo.
I mass media alimentarono scritti, immagini e dibattiti per mesi e l’atmosfera elettrizzante dovuta all’evento si dissipò lentamente, con il susseguirsi di imprese dello stesso tenore.
Con la morte di Armstrong mi è venuto spontaneo confrontare le emozioni d’allora con le suggestioni determinate da un’altra impresa, ugualmente storica dal punto di vista scientifico, quale l’atterraggio su Marte, il 6 Agosto scorso, della sonda Nasa, Curiosity.
Il pianeta rosso, che per decenni ha alimentato immagini e racconti di fantascienza in grado di nutrire la fantasia di scrittori e cineasti nel proporci inquietanti alieni pronti a distruggere la nostra fragile umanità, può finalmente svelare i suoi segreti, può finalmente dirci se esistono o sono esistite su di esso forme di vita embrionale.
Vi erano, nuovamente, tutti i presupposti per una grande partecipazione popolare, ma non è stato così.
L’evento ha avuto sì una sua eco e ha suscitato qualche interesse, TV e giornali ne hanno certamente parlato, ma l’impresa è passata rapidamente nel dimenticatoio e se qualche emozione ha destato, questa si è rapidamente dissolta nell’oblio e nel nostro fagocitante mondo contemporaneo.
La Luna del 69’ e Marte del 2012: sono solo due esempi, ma da essi traggo spunto per porre una domanda.
Cosa meglio dunque: la capacità di stupirsi e di meravigliarsi, categorie che sembrano, in buona misura, relegate a un recente passato oppure, per dirla alla Vittorino Andreoli, siamo concentrati su un “qui e ora” puramente corporei, su un “hic et nunc” che ha ucciso tutti gli dei e ha condotto l’uomo contemporaneo a galleggiare in una “società liquida”, come sostiene Bauman, laddove tutto scivola e non lascia traccia, privando l’umanità di passioni e sogni e proiettandolo in mondo fatto di stupidità, potere, denaro e stereotipata bellezza?
Con ciò non intendo sostenere che la società contemporanea sia priva di passioni. Piuttosto il punto è che sia diffuso il timore che esse possano perdere potenza, per svilirsi in sentimenti.
L’esasperazione dell’individualismo ha condotto alla progressiva razionalizzazione dei costumi, degli stili di vita, e della fruibilità del presente, indebolendo il libero fluire di passioni ed emozioni, soggette anch’esse a un appiattimento ideologico e spirituale che mi sembra caratterizzare il postmodernismo.
Si è sviluppato un processo acquisitivo in cui le passioni sono sostituite da pulsioni mediocri, legate alla ricchezza e all’ascesi sociale.
Si è diffuso un conformismo in cui non vi è più spazio per l’emozione, il sogno, la meraviglia, come se la società avesse ingoiato tutto il possibile lasciando solo il posto all’imponderabile.
Viviamo un’overdose di sollecitazioni determinata dall’incremento esponenziale delle esperienze a cui siamo sottoposti, per cui l’atarassia e l’assenza di pathos diventano i meccanismi estremi per difenderci.
Siamo preda di un’apparente insensibilità o indifferenza, ovvero della capacità di introiettare ed espellere eventi con rapidità tale da non consentire loro di lasciare che lievi tracce nel nostro sentire e nel nostro esperire?
Siamo forse privi di illusioni? Le illusioni sono uno strumento per mandare avanti l’umanità e più di tanto non si possono emarginare.
La psicologia moderna ha infatti dimostrato che tutti i nostri stati psichici sono impregnati di momenti emotivi e passionali, per cui non c’è una asettica percezione delle cose, pur tuttavia sembrerebbe che il tasso di insensibilità a ciò che ci circonda sia in progressivo aumento.
Un‘altra spiegazione potrebbe ricadere nel volontario o involontario inquadramento delle nostre esperienze emotive in categorie di cui fruiamo in modo meccanico, abitudinario, senza preoccuparci più di tanto degli impatti, peraltro rilevanti, sulla nostra quotidianità.
Le grandi emozioni potrebbero allora ricadere nelle categorie del senso e sulle risposte ai grandi perché, che rimangono tuttora inevasi.
La scoperta del bosone di Higgs ha destato interesse ma, in particolare, forte stupore, forse per l’ardito abbinamento tra la particella e le origini dell’universo, tale da ingenerare definizioni dal contenuto trascendente quale : bosone di Higgs = particella di Dio.
Formula evocatrice del divino che stana l’uomo dalla sua indifferenza, rigettandolo nei quesiti irrisolti che destano quelle emozioni primarie di cui parlavo all’inizio dell’articolo, quando il piede di Armstrong calcò per primo il suolo lunare.
In poco più di 40 anni è probabilmente cambiato parte del nostro paradigma emozionale, il simbolismo che attivava le nostre percezioni.
Sembra sempre più evidente la consapevolezza di un elemento di opacità interno alla sensibilità emozionale.
L’uomo sulla Luna rientrava ancora nella dimensione del fantastico, dimensione in grado di incidere profondamente nella nostra psiche e nella memorizzazione emozionale di quello specifico evento.
L’evento non era ancora entrato nella banalità della ripetizione. Il valore aggiunto dell’evento era ancora molto significativo rispetto ad ogni esperienza che lo avesse preceduto.
In questi ultimi anni è sempre più difficile vivere qualche cosa che sia ricco di questo valore aggiunto.
La proposta del presente sembra articolarsi in un “dejà vù” che sopisce emozioni e che ci proietta o nell’indifferenza o nell’angoscia.

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