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Radiohead: il concerto perfetto

Foto e testo di Vincenzo Nicolello
BOLOGNA – Raccontarvi di un concerto dei Radiohead che ha raccolto qualcosa come 25 mila spettatori può essere facile, se si dà tutto per scontato; ma può essere anche difficile se ci si ferma a ragionare su ciò che rappresenta oggi la band inglese.
In un epoca in cui anche Thom Yorke e compagni faticano ad entrare nelle classifiche di vendita italiane, francamente stupisce sapere che in quattro date (Roma, Firenze, Bologna e Codroipo) abbiano messo insieme quasi 100 mila spettatori. Sono numeri da capogiro, che fanno sicuramente gongolare chi, come la Vivo concerti ha organizzato gli eventi.
Cosa spinge tanta gente ad andare ad un loro concerto? La loro fama, la loro storia gloriosa, il loro repertorio passato oppure quello dell’ultima svolta artistica, che li ha portati ad abbandonare il rock, per abbracciare l’elettronica e la sperimentazione. Di sicuro ai piedi del palco c’era una buona rappresentanza di fan della prima epoca, quelli che erano lì per ascoltare il passato. Ma al loro fianco c’erano tanti giovani, che evidentemente sono stati conquistati dagli ultimi lavori, sicuramente poco orecchiabili e decisamente meno commerciali  (se mai i Radiohead lo siano mai stati).
Ci chiediamo chi, alla fine sia andato a casa soddisfatto: tutti, solo i primi oppure gli ultimi? L’interrogativo non può trovare una risposta, perché ognuno ne avrà una.
Noi ci limitiamo a raccontarvi in modo neutrale ciò che abbiamo visto ed ascoltato, cercando di farvi entrare il più possibile nell’atmosfera della serata.
Il Parco Nord allo scoccare delle 21.30 offre un colpo d’occhio mozzafiato. L’arena è un tappeto di persone, tutte pronte a gustare uno spettacolo che si preannuncia entusiasmante. Il palco è mastodontico e le luci regalano giochi di colori psichedelici, grazie alla presenza di schermi led che proiettano filmati e innumerevoli neon che si muovono in modo sinuoso.
Si parte subito con due brani dell’ultimo disco,  The King of limbs, Lotus Flower  e Bloom, quasi a voler sottolineare che oggi Thom Yorke ha tagliato il cordone ombelicale con il passato. L’atmosfera è elettrica ed il pubblico è imbambolato nel vedere le smorfie del frontman ed ascoltare la sua voce inconfondibile.
Yorke capisce che il pubblico non lo segue all’unisono e allora inizia a cercare un contatto, dialogando in italiano, chiedendo conferma del gradimento. L’atmosfera si scalda e con 15 step  il feeling è completo, anche se quando finalmente la band fa un tuffo nel passato, presentando brani quali Planet Telex, lo fa in chiave moderna, stravolgendo la vera essenza di quei pezzi, quasi il brano provenisse da un altro pianeta
Tutto lo spettacolo è un tipico esempio di perfezione, solo due piccoli episodi ci raccontano di qualche sbavatura. La prima, la più evidente, è un errore nel corso di Exit Music da parte di Jonny Greenwood, che viene ripreso da Thom con un bel «Fuck Jonny!», creando un siparietto esilarante. La seconda è una “dissonanza” tra la setlist diffusa prima del concerto e i pezzi poi effettivamente suonati nel corso della serata.
Alla fine, dopo due ore e un quarto di show, due bis e 24 brani presentati, se ne escono alla spicciolata, Thom per primo e via via tutti gli altri. Si spengono le luci e finisce la musica, entrano due roadies che dopo essersi guardati e detto “one-two-three-four” spengono contemporaneamente gli amplificatori di tastiere e chitarra e lo show finisce così. La gente torna a casa ed ognuno si chiede nel proprio intimo se sia davvero soddisfatto di ciò che ha visto
La scaletta:
Lotus Flower , Bloom, 15 Step, Lucky, Kid A, Morning Mr. Magpie, There There, The Gloaming, Separator, Pyramid Song, You and Whose Army? , I Might Be Wrong, Planet Telex, Feral, Little by Little, Idioteque, Bis: Give Up the Ghost, Exit Music (for a Film), (played instead of Airbag), The Daily Mail, Myxomatosis , Paranoid Android . Bis 2: House of Cards, Reckoner , Everything In Its Right Place  (True Love Waits intro)
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