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Lo stato sociale: USA vs. Europa

di Mariano Colla
Capitalismo e comunismo si sono a lungo contesi lo spazio economico e sociale del nostro pianeta.
Con la caduta del comunismo si sono verificate forme di radicalizzazione del liberismo che si sono diffuse a macchia d’olio nel mondo globalizzato. Gli effetti, più o meno marcati, si sono manifestati sulle economie di molti paesi, con esiti a volte benefici e a volte tragici, ma certamente allarmanti in quei contesti geopolitici caratterizzati da tradizioni e culture diverse da quelle anglosassoni, notoriamente esportatrici del modello liberista.
Tra questi contesti particolare attenzione merita l’Europa.
Federico Rampini, corrispondente da New York per il quotidiano “la Repubblica”, nel suo ultimo libro “Non ci possiamo più permettere uno Stato sociale: Falso”, edito da Laterza, ci propone un’attenta e, soprattutto, utile analisi per chi è interessato alle tendenze in corso.
Il giornalista mette in dubbio che la suddetta tendenza liberista, sollecitata, oltretutto, da un pensiero dominante, sia l’unica soluzione per superare gli aspetti più cruenti e, in qualche modo socialmente tragici, dell’attuale crisi economica. Il modello americano, che basa sul consumo e sul libero mercato la crescita dell’economia, non rappresenta la panacea per i mali del mondo, né si configura come l’unica soluzione possibile.
Scrive Rampini: “Non credo affatto che il modello sociale europeo sia superato. Al contrario, penso che nelle sue versioni più riuscite sia tuttora ineguagliato. E’ il migliore, di gran lunga. E non solo in base a criteri etici, o valori politici, ma anche per la sua efficienza economica. Sono gli altri a dover imparare da noi. E quello che cercherò di dimostrare nelle pagine che seguono”.
Il libro, in effetti, nel chiedersi, inizialmente, se l’America è un modello superiore, traccia un percorso che tende, in alternativa, a valorizzare il modello sociale europeo che, pur sotto le pressioni di istanze che tenderebbero a distruggerlo, regge, perché basato su principi di solidarietà e su valori comuni a cui tutti devono poter attingere in servizi e prestazioni.
Le emarginazioni sociali, sanitarie, formative, sono contro la democrazia e l’idea che nessuno debba essere lasciato indietro, abbandonato a se stesso e alle difficoltà della sua vita particolare, non è un elemento casuale che può esserci o non esserci, a seconda delle politiche del momento.
Sarebbero sufficienti queste brevi considerazioni per nutrire seri dubbi nei confronti del modello americano e sulla sua presunta superiorità, sostiene Rampini, oltre a rimarcare il fatto che le divaricazioni tra ricchi e poveri sono sempre più evidenti negli USA, al punto che anche gli ideologi conservatori ammettono che le vie di accesso all’american dream si sono ristrette.
Che cosa riceve un americano in cambio delle sue tasse? Attraverso un’analisi puntuale del sistema istituzionale statunitense, Rampini giunge alla seguente conclusione: niente sanità, niente scuola, niente pensioni, niente trasporti pubblici. Il patto sociale americano, non sembra affatto così vantaggioso.
Vivere in un mondo senza la tutela del posto di lavoro è angosciante e di questo fatto le democrazie europee non possono non tenerne conto.
Eppure, sostiene il libro, da molti anni si è imposta fra noi un’interpretazione tragica della globalizzazione. L’impatto della competizione fra l’Occidente e le potenze emergenti come Cina, India, Vietnam o Brasile – ci è stato spiegato – ci risucchia verso il basso.
Per non soccombere dobbiamo scendere sempre di più, adattare i nostri costi a quelli cinesi, quindi rinunciare a tante conquiste sociali, a tanti diritti, a tante regole.
Per combattere ad armi pari con chi è più povero di noi, insomma, dobbiamo impoverirci e i modelli alternativi a quello americano sono giudicati insostenibili dai mercati.
Ma le cose non stanno propriamente così, sostiene il giornalista.
Esiste, infatti, in Europa una altro modello, che è parimenti efficiente, ma che si regge su principi socialdemocratici molto più vicini al nostro modo di pensare, ed è il modello tedesco a cui, si possono associare forme politiche similari, quali quelle dell’Olanda, dell’Austria, della Svizzera e delle nazioni nordico-scandinave.
Guardando a queste nazioni riesce difficile credere che il sistema sociale europeo sia morto o prossimo a decesso.
Se invece guardiamo a paesi come la Spagna, il Portogallo, la Grecia e la stessa Italia, il giornalista sostiene che le riforme anti-crisi sinora applicate dai governi, sebbene di diversi colori, hanno tutte lo stesso segno: tagli alla spesa sociale.
Il libro in uno stile sintetico e chiaro esamina poi i motivi per cui in Europa si determinano situazioni che generano, queste si, la crisi dello stato sociale, e le cui cause sono riconducibili a fenomeni di evasione, parassitismo, frode e corruzione.
Appare da tutto ciò un’Europa divisa in due, economicamente, moralmente, eticamente, quasi ad evidenziare, secondo le parole di Rampini, chi del modello europeo riesce a farne parte e chi no.
Se, in effetti, il modello tedesco rappresenta il riferimento più concreto di un sistema socio-economico equilibrato, quali possono essere le ragioni di una mancata germanizzazione dell’Europa? Il libro analizza i comportamenti della Germania, tuttora condizionata da velati sensi di colpa postbellici, dinanzi a possibili interventi politici di esclusione o di aggregazione nei confronti dei singoli attori della comunità europea, non dimenticando che, per molti tedeschi, l’economia è una dottrina morale.
Infatti, è proprio sul piano morale che i tedeschi sono fortemente critici nei confronti dell’ipercapitalismo e del consumo alimentato dal credito facile.
Il libro passa poi ad esaminare le motivazioni per cui l’euro ha tradito molte aspettative.
Dai credit default swap, ai mutui subprime, alla discutibile serietà delle agenzie di rating, alle speculazioni internazionali che lucravano al ribasso sulle prospettive economiche dell’Europa, viene fatto osservare come l’assenza di una politica unitaria sull’euro ne abbia, di fatto, determinato la debolezza e spuntato le azioni difensive della comunità europea.
La speculazione internazionale ha intravisto nell’Europa, divisa e ricca di contraddizioni, un territorio in cui inserirsi, per lucrare, senza scrupoli.
Dietro l’euro non c’è uno Stato, come per il dollaro, non c’è ancora quella solidità politica che determina il ruolo stabilizzatore di una moneta sullo scacchiere internazionale.
Tuttavia, sostiene Rampini, non di sola moneta è fatta la nostra Europa e, quindi, bisogna andare alla ricerca di un nuovo pensiero economico quale alternativa al prorompente liberismo.
Il giornalista, sostenuto in tale pensiero da valenti economisti, ritiene, tra l’altro, che il deficit pubblico nello scenario odierno è benefico, a condizione che venga finanziato dalle banche centrali che comprano, senza limiti, i titoli di Stato dei rispettivi governi. In tal modo si potrebbe, forse, evitare il dissanguamento del sistema sociale europeo. Il sistema Italia non esce brillantemente dal libro di Rampini. Le inefficienze e la crisi endemica di produttività del nostro paese richiedono costanti interventi strutturali, spesso non indolori, il cui esito è ancora incerto,nonostante gli sforzi già effettuati.
In conclusione Rampini ritiene che, soprattutto per quanto riguarda l’Europa, gli americani ricorrono talvolta a semplificazioni brutali nel valutarci. Può servirci però come un richiamo e uno stimolo. La storia non è una gabbia, sostiene il giornalista, e il mondo è pieno di nazioni che hanno saputo “svoltare”, hanno reagito a decenni o perfino secoli di declino: dalla Cina all’India, al Brasile, abbiamo formidabili esempi di popoli e classi dirigenti che hanno sconfitto la forza d’inerzia, hanno saputo imprimere un corso diverso alla propria storia.
Concluderei sostenendo anch’io che dobbiamo ripensare al modello europeo in modo da renderlo competitivo rispetto al modello neo-liberista, poiché non contrappone la sfera economica e la sfera sociale, l’efficienza e l’equità, la competitività e la giustizia sociale, la crescita e i diritti, l’economia e l’ecologia.

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