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La decrescita felice secondo Serge Latouche

di Mariano Colla
Scrivono gli studenti della facoltà di lettere e filosofia di Roma 3: “Ci affidiamo alla tecnoscienza, perché così ci hanno insegnato a fare, dai banchi delle elementari ai master universitari. Ma è la stessa tecnoscienza che ha prodotto la crisi, è lo stesso sistema che sta inquinando l’atmosfera, le acque e i suoli a dispetto di chi non ha voce, o perché povero e ignorante, o perché non ha ancora messo piede su questa terra”.
E’ una lettera aperta tramite la quale gli stessi studenti hanno organizzato il convegno dal titolo ”Quale rapporto fra economia, ecologia e filosofia? L’occasione della crisi”.
Al convegno è stato invitato Serge Latouche, professore emerito di scienze economiche all’Università di Paris-Sud, non solo per cercare di fare il punto della situazione, ma per ascoltare una voce “dissonante” rispetto ai mantra rassicuranti sulle future prospettive di crescita del pianeta.
La notizia sta proprio in questo, ossia nel ruolo propositivo giocato, nel caso specifico, dai giovani studenti che, da passivi fruitori di lezioni e convegni, diventano parte attiva e piegano il contesto universitario alle loro esigenze, invitando oratori in grado di fornire un quadro reale delle minacce che gravano sull’avvenire non solo loro ma di tutta l’umanità, qualora non mutino i paradigmi socio-economici che hanno condotto il mondo alla crisi attuale.
Serge Latouche, è autore di molti libri incentrati su una visione dell’economia e della società costruita su valori di solidarietà e di sostenibilità, ed è particolarmente noto per aver espresso forti perplessità sulle opinioni tradizionali inerenti sviluppo e globalizzazione.
Quale forte sostenitore del concetto alternativo della decrescita, ovvero di un nuovo modello socio-economico in grado di intervenire per superare le devastanti prospettive legate alla crescita illimitata, Latouche è intervenuto nell’aula magna della facoltà dinanzi a un folto pubblico di studenti, sensibilizzandoli, se mai ce ne fosse stato il bisogno, alle sue teorie, certamente stimolanti, anche se non del tutto estranee a qualche componente utopica.
Latouche sostiene che quanto sta accadendo in campo ambientale, economico e sociale è il risultato di una concezione di progresso indifferente ai limiti naturali del sistema mondo, concezione che, alla cooperazione, sostituisce la competizione e il conflitto.
Invertire la rotta, anticipando emergenze e disastri a cui potrebbero un domani corrispondere svolte autoritarie, forse è ancora possibile, ma ciò implica un cambiamento culturale e una presa di coscienza urgente e di portata globale.
Il termine decrescita, che Latouche usa anche come slogan e come provocazione, incorpora un messaggio valoriale la cui natura dovrebbe sollecitare l’attenzione della nostra società avviata pericolosamente su un piano inclinato e la cui corsa si tinge, progressivamente, di prospettive sempre più fosche.
L’economista francese auspica che la società esca dai paradigmi economici che ne hanno determinato il benessere ma che ora ne tracciano un preoccupante destino.
“Darsi dei limiti è il gesto che distingue la civiltà dalle barbarie”, scrive Latouche nel suo ultimo libro dal titolo, appunto, “Limite”.
Citando Paul Valery, che negli anni 20’ presagiva un’umanità non più consapevole dei propri limiti, alla guida di una meta macchina spinta verso l’eccedenza, Latouche sostiene che tanti sono stati i cantori di un mondo proiettato verso una catastrofe, tacciati di catastrofismo e ignorati dal pensiero economico progressista. Ora, però, non è più tempo di sterili critiche ma bisogna rivoluzionare le istituzioni rendendole armoniche con il nostro ambiente.
E’ necessario puntare sulla crescita della qualità sociale.
La crisi odierna è in realtà l’ultimo anello di una serie di cicli critici che, nel dopoguerra, si sono manifestati, a partire della crisi culturale nel 68’, passando per la crisi energetica del 73’, di cui è noto il rapporto “I limiti dello sviluppo” scritto dal Club di Roma, per giungere alla crisi sociale degli anni 90’, causata delle politiche liberiste di Reagan e della Thatcher.
La società del consumo, ancella del liberismo sfrenato, si è affermata senza più ostacoli dopo la caduta del muro di Berlino e la caduta di tutte le economie socialiste. Il consumo è diventato simbolo di una identità vincente, di un modo di essere, che, tuttavia, contiene i germi della

Serge Latouche

paradossalità, in quanto si alimenta grazie ad una crescita senza fine. Una crescita che non si basa sul soddisfacimento dei bisogni ma che crea necessità inconsistenti al sol fine di alimentare se stessa.
Per Latouche siamo immersi in una crisi di civiltà e nel collasso dell’occidente ma, tuttavia, i nostri governanti, pur sollecitati da preoccupanti rapporti, quali le analisi fornite dall’lntergovernmental Panel on Climate Change, dal 3° studio del club di Roma, e altri, continuano a parlare di crescita, secondo i sacri principi dell’economia tradizionale.
Per stemperare l’atmosfera, Latouche cita Woody Allen quando dice:”l’umanità si trova oggi ad un bivio: una via conduce alla disperazione, l’altra all’estinzione totale. Speriamo di avere la saggezza di scegliere bene”.
Quadro tragico, sostiene l’oratore, ma forse Woody Allen non conosceva ancora il percorso della decrescita, il percorso della prosperità senza crescita, il superamento del disincanto imperialistico dell’economia, per cui e’ necessario denunciare l’impostura della politica attuale che conduce a una strada senza uscita.
E come siamo giunti a tutto ciò Latouche lo spiega ai giovani universitari, percorrendo le tappe che, dalla fine della crescita reale, quella produttiva in altri termini, terminata negli anni 90’, si è giunti alle formule fittizie della crescita basate sul credito infinito a tutti senza garanzie di copertura, pur di mantenere alti i consumi. Da qui sono partite le bolle speculative che ci hanno condotto alla crisi attuale. Dal capitalismo materiale al capitalismo finanziario. Speculazione invece di produzione. La gente è più povera, ma per comprare si indebita. Nel mondo occidentale, inoltre, aumenta il tasso di invecchiamento della popolazione e cresce il rischio di insolvibilità degli istituti preposti al pagamento delle pensioni. Pertanto ci si assicura con organizzazioni private e le assicurazioni diventano ricche e potenti, grazie ai fondi pensione, al punto da condizionare addirittura i debiti sovrani. Il sistema finanza produce un valore pari a 15 volte il PIL mondiale. I debiti non saranno pagati, ma tutti fanno finta che saremo eternamente solvibili, pur di mantenere in vita il malato cronico: l’economia capitalistica.
Per Latouche e’ necessario e urgente creare un sistema di condizioni per proteggersi da tutto questo.
Per uscire dalla miseria del presente dobbiamo credere in un altro mondo possibile, forse utopico, ma comunque possibile.
In prima battuta si può avere un’economia di crescita che non è un’economia di mercato.
“Il mio concetto di decrescita – sostiene Latouche – è un progetto politico di sinistra perché si fonda su una critica radicale del liberalismo e della società dei consumi”.
Nel suo libro “Per un’abbondanza frugale“ Latouche articola il progetto politico dell’utopia concreta della decrescita in otto «R» (rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riu¬tilizzare, riciclare), dove in particolare due «R», rivalutare e ridi¬stribuire, attualizzano questa critica. Rivalutare significa rivedere i valori in cui crediamo, in base ai quali organizziamo la nostra vita, e cambiare quelli che portano al disastro. L’altruismo dovrà avere la meglio sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza sfrenata, l’importanza della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, l’autonomia sull’eteronomia, il ragionevole sul razionale, il relazionale sul materiale ecc.
Sicuramente è un progetto ambizioso, non privo di utopie, che al momento non trova ancora moltissimi adepti, ma Latouche è convinto che sia l’unica strada per salvarsi dalla catastrofe.
E’ costruttivo il fatto che all’interno dell’Ateneo romano verrà creato un osservatorio permanente composto da studenti e docenti per esaminare le evoluzioni della crisi. Sarà un G.d.L., come scrivono gli studenti, “non tecnico, non scientifico, non umanistico, ma multidisciplinare, tendente a quell’autenticità fenomenologica difficile da ottenere da parte dì chi è coinvolto in un sistema culturale ereditato, il cui volano impedisce visioni alternative”.

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