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Il genio visionario di Claes Oldenburg al Guggenheim di Bilbao

di Roberta Leomporra
Dal 30 Ottobre 2012 al 17 Febbraio 2013 il Museo Guggenheim di Bilbao ospita una mostra senza precedenti, di opere risalenti agli anni sessanta del maestro della pop-art Claes Oldenburg.
L’evento frutto della collaborazione tra “mumok Vienna” e Museo Guggenheim di Bilbao, è stato possibile grazie alla sponsorizzazione della “Fundacion BBVA” , unita al supporto della “Terra Foundation for American Art”.
La proposta espositiva del Museo Guggenheim di Bilbao si avvale di una selezione di circa trecento opere, aprendosi con l’installazione “The Street”, che riporta una raffigurazione della vita quotidiana nelle chiassose megalopoli americane, tanto piene di varietà e distinguo, quanto tendenti all’omologazione. Il contrario ed il suo uguale.
Nel suo iter di progressiva riduzione spaziale, si sposta poi in una location più contenuta: “The Store”, il negozio che nell’attività artistica di Oldenburg assume un significato particolare se

Oldenburg: Floor-Cake

pensiamo a quanto demitizzante sia la sua scelta di aprirne uno, nel 1961, denominato dall’autore con dissacrante banalità “The Store”, appunto, in cui si potevano acquistare le sue riproduzioni artistiche. In opposizione alla risibile autocelebrazione in voga in quegli anni.
La restrizione spaziale si conclude in “Modern Home”, ambiente per cui l’autore elabora prodotti di quotidiano uso domestico, ingigantendo le proporzioni quasi a deridere l’enorme importanza attribuita loro dal mondo contemporaneo. A volte persino decontestualizzandoli, come nel caso dell’intero arredo da bagno con oggetti in verticale, pensato per una installazione all’aperto, dell’opera “Toilet”.
Nato in Svezia e naturalizzato americano, Oldenburg compie la sua iniziazione artistica nella Grande Mela in cui, abitando nel Lower Est Side,un quartiere periferico e popolare di Manhattan, ha la possibilità di osservare la vita quotidiana della gente comune, costantemente in ballo tra lavoro ed isolamento sociale.
Ne origina una profonda consapevolezza, in Oldenburg, del divario abissale tra la realtà ed il mondo fittizio che la società capitalista vuole proporre, spacciare per autentico, composto da oggetti futili quanto elementi indispensabili di cui però viene alterata la natura.
Inizia così il suo percorso artistico, fatto di installazioni elaborate con materiali riciclati, dal legno al metallo, servendosi poi di cartone come di tessuti.
Cattura immagini della realtà contemporanea nella caotica New York, con intuizione lungimirante, presenti in “Snapshots from the city” del 1960, anch’esse in mostra in questi giorni al Guggenheim di Bilbao. Guardarle conduce verso un autentico flashback emozionale.
In certa misura muove una critica al consumismo figlio della cultura capitalistica dilagante negli anni sessanta densi di fame d’ideali, d’altro canto, realizza quegli oggetti che il mondo utilitarista reputa e spaccia per necessari, esattamente come li vede. Fatti di niente.
L’ispirazione tratta dall’arte dei graffiti è evidente, sia nella riproduzione a mano libera di scene di
Oldenburg: Big White Shirt with Blue Tie

vita quotidiana, di bozze d’eventuali installazioni urbane, così come nella collezione “Flags”, composta da bandiere realizzate con pezzi di legno, spesso di una fragilità tale da impedirne l’eccessivo numero di prestiti museali.
I suoi interventi hanno spesso il carattere non di installazione, bensì di interferenza urbana, sono un grido di protesta che si leva convincente e solido, come nel caso dell’opera ideata per la Yale University che riproduce un enorme rossetto rosso gonfiabile, trasportato non a caso da un carro armato ( in segno di protesta alla guerra in Vietnam che stava in quegli anni coinvolgendo gli Usa ). L’estremità del rossetto si riempie d’aria per poi sgonfiarsi al termine del discorso di un comiziante, quasi a denotare il carattere di vacuità delle parole di quest’ultimo.Si tratta di “Lipstick (Ascending) on Caterpillar Tracks”.
A Bilbao sono presenti immagini fotografiche di molteplici installazioni urbane, dall’osservazione delle quali trapela satira pura, i passanti confusi e sbigottiti al cospetto di enormi riproduzioni di personaggi radicati nell’immaginario collettivo statunitense. Com’è il caso di cartoons nati dalla mano del geniale fumettista Walt Disney, dalla gamma dei quali attinge con particolare premura quello di Mickey Mouse.
Dopo aver raccolto per alcuni anni oggetti di diverso impiego in vetrine, catturato com’era da quegli oggetti intrappolati in teche di vetro esposti nei negozi, partorisce l’idea di sostituirvi un vero e proprio museo: da “The Store” in cui gli oggetti erano realmente in vendita, al Museo con l’inconfondibile forma di testa di Topolino.
Al suo interno dolci in sgargianti materiali plastici, come dildo di fabbricazione industriale, oggetti d’uso comune, etichette in plastica o metallo in commercio negli anni sessanta, oggi reperto di un trend pubblicitario concluso ma spesso rivisitato, giocattoli per bimbe vanitose, che dalle bamboline in pezza son passate ad unghie posticce, fino a riproduzioni di pistole con oggetti di diverso tipo, dal guanto al residuo ligneo raccolto sulla battigia, fino ad utensili da cucina.
La pistola per l’appunto, la “Ray Gun”, cui Oldeburg affida un ruolo preponderante nella vastissima gamma di oggetti riprodotti, realizzata o raffigurata in litografie.
I dolci di dimensioni spropositate come la notissima fetta di torta “Floor Cake” del 1962, le donne unidimensionali e scarne che realizza in cartone, sono una sorta di fotografia che un particolare occhio, l’occhio visionario e geniale di uno spirito critico e lungimirante, scatta alla società americana sua contemporanea.
Contrappone alla concitazione della società americana del tempo, interferenze urbane dalle dimensioni enormi, ora per deridere l’importanza ridicola ed esagerata da essa attribuita ad oggetti non indispensabili, ora per forzare le persone a vedere, a riflettere, quasi a “fare i conti” con la tendenza verso la quale quel decennio stava dirigendosi, iniziato con esplosioni d’ideali e declinante in conflitti senza senso, quanto più piena di novità e scoperte, tanto più isolante l’individuo, il singolo pensiero.

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