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Centri storici italiani: serve un'inversione di tendenza

di Marzia Santella
In questi giorni, in cui le vie e le piazze sono addobbate a festa, mi è parsa evidente un’aberrante realtà. L’Italia, secondo un’indagine Istat, è costituita da oltre 22 mila centri storici. Una definizione coniata negli anni venti del secolo scorso per indicare la parte più antica delle città, gli edifici che appartenevano al nucleo originario antico. Un patrimonio culturale straordinario. Italia culla della cultura. Una culla che si sta sgretolando. Un percorso parallelo tra lo sviluppo del recupero non solo dei centri storici, ma dei valori culturali,  l’ambiente storico nel suo complesso che devono essere salvaguardati. Simultaneamente vengono attuate  scelte politiche ed economiche dei comuni e delle città che  hanno preferito, negli ultimi anni, prediligere la crescita dei parchi commerciali. Si pone un problema però di ordine culturale ed economico. Per salvaguardare i centri storici, infatti, succede che viene impedito l’accesso alle auto. Enormi isole pedonali che risultano però sempre più spesso deserte. Un Paese come il nostro in cui tutti voglio avere i propri agi è impensabile convincere le persone ad andare a fare la spesa con la navetta. Borse, e quant’altro pesano si sa. Nei parcheggi immensi dei parchi commerciali il problema non si presenta: questa la molla che ha creato il boom. Ci si abitua a tutto purtroppo, ci si abitua a perdere le abitudini di sempre, dei genitori e dei nonni a favore di  queste realtà commerciali, a favore dei ristoranti fast food a scapito dei locali tipici. Lì quasi tutti i marchi sono in franchising. I piccoli esercenti dei centri  storici che vendevano i prodotti tipici, le piccole imprese  a gestione famigliare spazzati via nello spazio di una generazione. Una situazione a cui nessuno vuole pensare. Intontiti dalla “vasca” nel centro commerciale ci si accorgerà troppo tardi di quello che si è perso per sempre. “Gli spazi esistono solo se ci sono gli uomini. E il problema dei centri storici, non solo in Italia ma ovunque, è che spesso non ci sono gli uomini che ci vivono ma solo uomini che li usano, che li sfruttano come possono essere lo studente o il commerciante” prof. Alberto Grohmann docente di storia economica. Continua: “La sfida di chi amministra i centri storici è coniugarne la tutela con la necessità di costruire spazi dove gli uomini possano vivere in maniera armoniosa soddisfano i loro desideri e bisogni.” Quel che accade?  Un dramma per i piccoli commercianti che si vedono costretti a chiudere il vecchio negozio ed entrano nei parchi commerciali. Contratti da “strozzo” denuncia allarmata Federcontribuenti nel comunicato di questo mese. Contratti degli esercenti inquadrati come “ramo d’azienda” per cui viene loro negato il potere di cedere l’azienda, nessuna indennità di avviamento ma anzi una penale, e perdita del negozio.“In questo momento di affanno delle piccole e medie imprese alle prese con difficoltà di accesso al credito, senza potere di contrattazione dei colossi economici, il proliferare dei centri commerciali è un attacco mortale. Le PMI non possono competere con prezzi, saldi e offerte. E’ tempo di farsi valere e di aprire azioni anche collettive per modificare questo sistema assassino.” Ben 2400 i centri nuovi in progetto. E’ tempo di valorizzare veramente la nostra cultura. La nostra identità nazionale è fatta di piazze, di centri storici, di compagnia, di aperitivi e osterie, di condivisione e armonia. Si può ancora invertire la rotta. Coesistere si può. Mi chiedo se ci sia qualcuno che si prenderà a cuore il problema, sordo alle sirene di coloro  che assicurano ritorni economici ed occupazionali a favore del commercio, a favore della nostra cultura e memoria storica, ed eno-gastronomica. Le antiche sapienze perdute non potranno più essere recuperate dalle multinazionali estere ne abbiamo già dimostrazione. Un invito allora a riappropriarci delle nostre città e Buone Feste.

foto: alessandrianews.it

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