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L’eterno ritorno: l’irrisolto problema delle carceri

di Mariano Colla
E’ noto che proprio in questi giorni la Corte di Strasburgo ha denunciato il nostro paese per chiara violazione dei diritti dei detenuti, laddove essi sono stati confinati in celle con superficie utile inferiore a 3 metri quadrati.
La sentenza rileva, inoltre, che il problema delle carceri italiane è di natura strutturale.
In particolare, la Corte europea ha condannato il nostro paese a pagare una somma di 100 mila euro a 7 reclusi, detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, per danni morali causati da trattamento inumano e degradante.
La sentenza invita l’Italia a risolvere quanto prima l’annoso problema del sovraffollamento delle carceri, anche adottando, ove possibile, soluzioni alternative al sistema penitenziario tradizionale.
La reazione del nostro ministro di grazia e giustizia, Paola Severino, si sintetizza nel seguente commento: “C’era da aspettarselo” – “Sono profondamente avvilita ma, purtroppo, l’odierna condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo non mi stupisce. Per le carceri italiane sono urgenti misure strutturali”.
Questa condanna segue un’altra sentenza del luglio 2009, riguardante un detenuto nel carcere di Rebibbia di Roma, sentenza che determinò, almeno così pare, la predisposizione di un “piano carceri” che programmava l’edificazione di nuovi penitenziari, oltre alla ristrutturazione e all’ampliamento degli edifici già esistenti.
Anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sottolineato, con amarezza, “la mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena. In questa direzione il Parlamento avrebbe potuto, ancora alla vigilia dello scioglimento delle Camere, assumere decisioni, e purtroppo non l’ha fatto”.
Con ciò Napolitano si augura che il problema sia affrontato con la massima priorità dal nuovo esecutivo che si instaurerà dopo le elezioni del 24-25 febbraio.
Il fatto è che le più alte voci istituzionali più volte, in questi ultimi anni, si sono levate per sollecitare provvedimenti nel nostro sistema penitenziario, ma la politica non sembra aver fatto il suo dovere.
L’Italia resta il paese con le carceri più sovraffollate nell’Unione Europea.
Il tasso di affollamento attuale è, infatti, del 142,5% (oltre 140 detenuti ogni 100 posti: la media europea è del 99,6%). Al 31 ottobre la capienza regolamentare complessiva dei 206 istituti penitenziari era di 46.795 posti, a fronte di una presenza di 66.685 detenuti.
E’ quanto emerge dal IX rapporto sulle condizioni di detenzione senza dignità, predisposto dall’Associazione Antigone e presentato a Roma il 19 Novembre 2012.
Tuttavia, pur dinanzi a una situazione così precaria e ai su conclamati interventi istituzionali, gli unici provvedimenti che la politica e gli organi esecutivi han saputo realizzare sono state forme di amnistia o di indulto che, in sostanza, attenuano il problema e non lo risolvono alla radice.
In un paese in cui l’industria del mattone è tra le più attive, e in cui gli stanziamenti per opere pubbliche sono particolarmente rilevanti in merito a nuove strade, viadotti, centri commerciali e, non ultimi, quelli effettuati per il fantomatico ponte di Messina, la futura TAV, l’Expò, i vari G8 E G20, sorprende che non vi siano fondi sufficienti per migliorare la situazione carceraria, soprattutto alla luce di una immagine del paese che, progressivamente, assume connotazioni terzomondiste.
In un paese in cui sotto la gestione pubblica languono, disseminati sul territorio nazionale, relitti di caserme, ospedali, strutture in disuso o mai usate, meglio note come cattedrali nel deserto, risultato di speculazioni politiche di dubbia moralità, per usare un eufemismo, è lecito chiedersi perché non vengono avviati lavori di bonifica tali da consentire un parziale recupero di disponibilità da impiegare nell’ambito del sistema carcerario.
Tuttavia, eventuali nuove carceri rappresenterebbero una soluzione parziale del problema.
Il problema, come anzidetto, è strutturale e proprio in questo senso serve una riforma con la quale, dopo aver analizzato le peculiarità degli abnormi flussi di talune categorie di carcerati – es.: extracomunitari, tossicodipendenti -, rivedere la normativa penale sottesa al regime sanzionatorio, non tanto o non sempre per depenalizzare un reato oggi esistente, quanto per valutare forme alternative di punizione che, per gli illeciti più lievi, prevedano misure diverse da quelle detentive vere e proprie. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che uno degli scopi principali del sistema penitenziario non è tanto la detenzione quanto la rieducazione quale veicolo per poter reinserire nella società persone che, per varie ragioni, ne sono state espulse. Il numero di operatori specializzati, di educatori, di psicologi dovrebbe adattarsi a tale funzione di reinserimento, funzione che potrebbe contribuire in modo significativo a ridurre la quantità di detenuti.
Sarà pur vero che la crisi in corso sembra aver prosciugato i salvadanai della finanza pubblica, ma il problema carcerario non è di questi giorni. E’ stato, almeno in teoria, nell’agenda dei vari governi che si sono succeduti in questi anni, anche in tempi in cui il denaro pubblico girava e la finanza era particolarmente allegra. Il punto è che in termini di priorità il problema carcerario non ha mai goduto delle necessarie attenzioni, forse perché elettoralmente paga meno di altri impegni della politica.
Sostiene Mario Palma, nella sua prefazione al su menzionato rapporto di Antigone sull’esecuzione penale e le condizioni di detenzione :”osservare il sistema penitenziario è già agire in esso, dare un contributo alla sua evoluzione. Resistenze, mancanza di risorse e, in definitiva, disinteresse verso un mondo che si vuole separato dalla società o – meglio – che la società vuole separato da se stessa, sono all’origine del ripetuto fallimento dei timidi tentativi di riformare le patrie galere. Ma se il carcere è irriformabile, torna in campo il vecchio motto che invitava a liberarsi dalla sua necessità. Un impegno certo più ambizioso, ma che ha il merito di indurre alla riflessione attiva sulle alternative al carcere e sulla loro perseguibilità”.
Donatella Ferranti, deputato capogruppo Pd in commissione giustizia, scriveva su il giornale “Il domani d’Italia”, sempre in materia di sovraffollamento delle carceri: “dinanzi all’immobilismo e l’inadeguatezza dell’azione governativa e alle condizioni intollerabili in cui versano le carceri italiane, diventa sempre più pressante, da parte di alcune forze politiche, la richiesta di discutere di un provvedimento di clemenza, in particolare di amnistia, che dia nel frattempo respiro al sistema carcerario.
Il problema però non è di facile soluzione e non può essere considerato sempre e soltanto con l’ottica dell’emergenza: da un lato il buon funzionamento del sistema carcerario e il corretto trattamento dei detenuti è infatti il più importante indicatore del grado di civiltà e democrazia, dall’altro le riforme strutturali che consentano al sistema giudiziario penale di funzionare e garantiscano l’effettività della sanzione non possono più essere rinviate”.
Sono sicuramente belle parole, assai propositive, direi, ma se sono rimaste lettera morta è anche perché la pervicace adozione della formula dello scarica barile, per cui ogni governo trasferisce sul successivo o sul precedente la responsabilità dell’immobilismo esecutivo in materia, ha messo in secondo piano i valori civili di una società, tra cui la dignità delle persone, siano esse carcerate o meno, valori che dovrebbero andare al di là del colore dello schieramento politico.
La cittadinanza assiste, impotente, all’incancrenirsi della situazione, ma in realtà, dietro a questa impotenza, si radica, maliziosamente, un senso di distacco e di insensibilità verso problematiche apparentemente remote, ma che ci toccano sul vivo quando l’illegalità intercetta i ritmi e le convenzioni della nostra quieta vita sociale.
La politica, utilitaristica e spregiudicata, avverte questo distacco, interviene sull’illegalità esaltando mediaticamente la tempestività dell’azione repressiva ma segue, con ben diverso impegno e organizzazione, gli effetti della propria azione, intervenendo poi, retoricamente, quando qualcuno, come la Corte europea, ci richiama ai nostri doveri istituzionali. Gli elettori, si sa, possono avere diverse priorità e dimenticare almeno per un po’ gli effetti di un giustizialismo mal applicato.
Il fatto che, periodicamente, il problema ritorni a galla, produce, in molti, frasi di circostanza e una retorica che non muta le cose.
All’atto pratico poco cambia e, se fate attenzione agli interventi attualmente in corso nella campagna elettorale, il tema delle carceri viene si e no sfiorato, con buona pace di chi sta fuori e con rassegnato scetticismo di chi sta dentro
foto: Adnkronos

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