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La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo

A. Rohrwacher in "La solitudine dei numeri primi" di S. Costanzo

Di Mariano Colla
Lo straordinario successo letterario del libro di Paolo Giordano, non poteva che suscitare l’estremo interesse del mondo del cinema.  Il film di Saverio Costanzo, presentato alla 67° Mostra del Cinema di Venezia, distribuito nelle sale cinematografiche italiane dal 10 settembre, a giudicare dagli incassi pare mantenere un discreto favore di pubblico.
E un film  in cui la  struttura del racconto  è scandita con ritmi asincroni e dove gli episodi  del passato e del presente  si intrecciano continuamente attraverso l’utilizzo del “flash back”.
Con una certa maestria il regista ricostruisce gli eventi che hanno segnato la vita e la psiche dei protagonisti, soffermandosi in particolare sugli ambienti familiari, cause prime dei traumi psico-fisici di  Alice (Alba Rohrwacher) e Mattia   (Luca Marinelli) appunto.
Il film ben descrive il trauma dell’infanzia, vissuta con gli occhi dei bambini, succubi di situazioni familiari irrisolte, dove l’adulto alimenta aspettative irragionevoli frutto di una maturità mancata e contribuisce a creare un clima di tensione che si riverbera sulla  fragile struttura psichica dei piccoli protagonisti, con l’effetto di sviluppare in essi responsabilità non gestibili, ma che vengono vissute  come necessità per contribuire alla serenità familiare.
Tuttavia il film indulge un po’ troppo nella rappresentazione scenica del dramma familiare, con l’effetto di dilungarsi in pause eccessive che    generano un calo di tensione nello spettatore.
Il  “flash back” è una tecnica ad effetto ma, se eccessiva,  riesce solo ad alimentare confusione e disorientamento nello spettatore. E’ il caso del film, dove un impiego più moderato della tecnica avrebbe giovato alla linearità della storia che, di per sé, già presenta elementi psicologicamente coinvolgenti da non richiedere  accorgimenti e complicanze ulteriori.
La tensione del film si allenta nella parte finale dove intervengono elementi al limite del surrealismo che rischiano di  sfumare la dimensione  reale e  drammatica del racconto, dando spazio  a una confusa interazione  tra sogno e realtà.
Ne emerge una caduta di ritmo che incombe, con pesantezza, nelle battute finali del film che lascia irrisolto, a differenza del libro,  il rapporto tra i due protagonisti.
L’impressione finale è che il film, nel tentativo di riproporre i complessi contenuti  del libro, si sia avvalso di ambiziose tecniche narrative proprie dei maestri del cinema, alle quali il giovane e pur bravo regista potrà ambire ma che , al momento, sfiorano solo il suo repertorio. Costanzo dovendolo raccontare, il suo film, ha detto: “Credo che questo film sia un horror sentimentale sulla famiglia e sulla sua impossibile emancipazione, accompagnato dalle note blu elettrico di un synt analogico”.

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