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Lo 'Sconcerto' di Toni Servillo

di Mariano Colla

Un direttore d’orchestra un po’ particolare è apparso ieri sera sul podio della sala Sinopoli dell’Auditorium.
Vestito con un impeccabile frac, prende il suo posto, dinanzi a una schiera di orchestrali in tenuta del tutto informale.
Un frastuono dodecafonico apre il concerto ma, improvvisa, la voce stentorea e profonda di Toni Servillo interrompe i musicanti e dà luogo a un parlato ispido, caustico e graffiante, polemico nel suo spirito di critica e condanna.
Chi l’oggetto di tali invettive ? Il mondo direi, la classe dirigente, l’uomo in generale, nella sua ingordigia, nel suo nuovo essere barbaro, nel suo essere consumo e consumato, nel suo  vivere senza vedere, senza sentire.
E la musica ? Alta,  prorompente, dissonante nelle sue incursioni iniziali a riempire  le pause dell’oratore, dà continuità al  parlato, con la scintillante danza delle note, rimarca, nel suo apparente caos sonoro, gli squilibri del post-moderno, i vuoti e le incoerenze dell’uomo attuale.
Servillo alza via via  i toni della sua critica  e della sua delusione fisica e morale nei confronti di questo uomo contemporaneo, nudo nella sua pochezza intellettuale, alla deriva, conscio in parte di esserlo ma nichilista nell’evitarlo, preda del benessere vero o falso da fine impero.
La  musica lo segue, con dosati ma bruschi interventi di timpani, ottoni e archi, che evidenziano la frattura con l’uomo d’oggi, e, in tale corrispondenza tra parlato e musica, emerge la geniale sintesi proposta dal titolo dell’opera teatrale : ‘Sconcerto‘.
Il parlato, severo e tonico che si avvale, quindi, del sostegno della musica per dare corpo e risonanza alla parola, e che nella sapiente regia, impersonata dal direttore, vede nell’irruzione musicale dell’orchestra l’appiglio emotivo che turba , che fa riflettere.
Ne emerge un’atmosfera vagamente surreale a cui contribuisce la modulazione delle luci di sala , ora ad ampio spettro, con tutto l’ambiente in evidenza, ora solamente concentrate su Servillo.
E la tensione cresce, lenta ma inesorabile. Il fraseggio musica-parlato disarmonico  all’inizio, si fa via via  più modulato.
La musica si addolcisce con lo scorrere dello spettacolo, emergono qua e là brani classici, tratti dalle  sinfonie di Brahms, forse segni prospettici del  recupero di un’armonia perduta, di una riconciliazione con una nuova e più nobile essenza dell’uomo.
Magistrale dunque la regia della rappresentazione che raggiunge il suo apice quando il Servillo, mani rivolte al cielo, candide in un fascio di luce, attribuisce alla musica, opera somma dell’uomo, sublime dimensione immanente e non trascendente, un ruolo salvifico per l’umanità.
E come la musica si dissolve un pubblico, ancora rapito, sosta alcuni secondi prima di esplodere in una serie di fragorosi applausi.
E’ il giusto tributo ai creatori di un’opera originale ed emozionante : a chi l’ha concepita a che l’ha scritta ma, soprattutto, a chi l’ha recitata. Una interpretazione magistrale che pone Servillo  tra i nostri migliori attori di teatro.

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