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La Siria non raccontata

di Mariano Colla
Il perdurare del conflitto in Siria, senza apparenti soluzioni immediate, mi suggerisce di mettere a confronto due diverse opinioni sulle cause di tale conflitto, opinioni maturate in contesti diversi da parte di persone ed organizzazioni che hanno vissuto un’esperienza diretta della tragedia che da anni insanguina il paese mediorientale.
Sono punti di vista in buona misura contrastanti, emersi in alcuni seminari organizzati sul tema nei mesi scorsi, ma che ritengo ancora attuali e che testimoniano della difficoltà interpretativa delle ragioni del conflitto. Considerazioni da mettere a confronto, quale contributo per consentire al lettore eventuali approfondimenti e per favorire la maturazione, se possibile, di un approccio imparziale al dramma siriano. siria
La prima serie di esperienze proviene da “Convergenza delle culture”, organismo umanista di carattere mondiale, organizzatore di un incontro sul tema: “La Siria non raccontata”.
La locandina di presentazione della conferenza recitava:
“La Siria sta vivendo un delicato momento storico.
La verità rispetto agli eventi, purtroppo, non viene mai rivelata dal popolo siriano, ma dai media che, con immagini crude, ci parlano di guerra e di violenza, e ci privano degli strumenti per capire.
Siriani, cittadini italiani, volontari e attivisti di varie organizzazioni umanitarie, da tempo operanti in Siria, hanno raccontato le loro esperienze, fornendo un quadro del conflitto in corso nel paese mediorientale assai diverso dallo scenario che un osservatore superficiale può aver ricavato dalle informazioni diffuse da gran parte delle reti televisive e delle fonti giornalistiche.
Secondo le esperienze di tali testimoni è emersa una Siria in cui le iniziali manifestazioni pacifiche di una parte dell’opposizione contro il regime di Assad sono state successivamente strumentalizzate, con l’obiettivo di far precipitare il paese nel caos per favorire interventi armati sia da parte governativa che da parte dell’opposizione dove, quest’ultima, avrebbe ottenuto aiuti in armi e mercenari, al fine di scardinare l’attuale assetto politico a favore di presunti interessi occidentali nell’area.
Lo spirito degli interventi ha sostanzialmente delineato uno scenario in cui la Siria è inserita nell’ambito di uno scacchiere strategico la cui gestione è stata rimessa in discussione dai movimenti della così detta primavera araba.
Con la caduta del muro di Berlino, e con la ridotta influenza dell’ex Unione Sovietica nella regione, il complesso sistema di alleanze del mondo occidentale ha via via cercato di intensificare la propria presenza in medioriente, legittimando o favorendo ogni movimento che potesse salvaguardare il mantenimento di una posizione di forza nella regione, sia per la presenza del petrolio, sia per isolare quei paesi ostinatamente contrari a ogni forma di ingerenza, tra i quali l’Iran ha un ruolo preponderante.
Secondo i conferenzieri, con la caduta di Gheddafi, l’instabilità politica dell’Egitto e i fragili equilibri in Tunisia, la Siria rappresentava il paese meglio organizzato, anche militarmente, nella zona.
Favorire e alimentare dissidi interni con l’obiettivo di far cadere Assad, al fine di indebolire il paese, anche alla luce della sua vicinanza con l’Iran, costituiva un’accattivante opzione strategica e il diffondersi dei movimenti di protesta alimentati dalla primavera araba poteva costituire un alibi dietro cui coprire progetti geopolitici di ben altra natura.
La Siria, come l’Iraq, come la Libia come l’Egitto, è preda di una devastazione che, oltre al bagno di sangue in corso, riduce in polvere ricchezze e imponenti testimonianze storiche e la gravità della situazione richiede responsabilità politica e compromessi.
Le manifestazioni di violenza e odio sono così intense che con difficoltà si possono attribuire a un popolo che vanta confessioni ed etnie diverse, reciprocamente tolleranti, che hanno vissuto in pace per secoli, dove i cittadini sono tutti uguali per diritti e doveri e dove lo spirito d’accoglienza si esprime con generosità. La Siria, infatti, ospita circa 2 milioni di rifugiati su una popolazione di circa 27 milioni di persone. Secondo gli interventi è difficile credere sino in fondo che un contrasto politico, più che religioso – la Siria non ha una religione di Stato – possa aver determinato tale tragedia.
La versione che gli oratori accreditano come più probabile, secondo il loro punto di vista, è che in Siria non c’è una guerra civile, in quanto le fazioni in lotta solo marginalmente contengono siriani, bensì una guerra indotta da potenze straniere per esportare, formalmente, un modello democratico, secondo la struttura del così detto PNAC (Project for the New American Century), redatto a suo tempo dai conservatori statunitensi.
In Siria c’è un islam moderato e tale tendenza si presta a delineare una speranza che dovrebbe consentire alla popolazione siriana di riprendere il controllo della situazione.
In alternativa a quanto sopra scritto la SIOI, Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale (Ente senza fini di lucro sottoposto alla vigilanza del Ministero degli Esteri; presidente: Franco Frattini), ha organizzato un convegno in cui le posizioni degli oratori hanno delineato uno scenario sostanzialmente diverso.
Dagli interventi è emersa, infatti, la conferma che il regime di Assad era ed è basato su un controllo poliziesco violento, senza controlli e vincoli di sorta, a carattere criminale.
L’iniziale pacifica serie di dimostrazioni anti regime è stata seguita da infiltrazioni di organizzazioni siriane e straniere con connotazioni di integralismo islamico sunnita (la classe dominante, Assad in testa, è sciita alawita) che, con azioni più accese, hanno provocato la reazione bellica delle forze governative.
Al momento è impossibile dire quale quota degli insorti sia riferibile a tali organizzazioni supportate da Stati stranieri islamici (Iran, Qatar, Sudan, Algeria e altri), ma sicuramente si tratta di una quota elevata. Pare che la forza meglio organizzata e più temibile sia la brigata Al Nusra, una filiazione di Al Qaeda. Inoltre, sembra che i civili temano più le forze governative che quelle degli insorti.
La Russia terrebbe, con qualche ansia, la posizione di grande protettrice di Assad; la Turchia si limita a lasciare entrare – obtorto collo e senza svenarsi in assistenza – cospicui flussi di profughi siriani, non rammaricandosi troppo dell’autodistruzione di un vicino ben armato e animato da mire di leadership internazionale sull’area.
Non vi sono stati specifici riferimenti a disegni di influenza sul focolaio siriano da parte USA o di Stati europei. La questione è stata presentata come faccenda essenzialmente interna al mondo arabo.
Alcuni giornalisti relatori hanno parlato della devastante ed indiscriminata azione bellica delle forze governative con ricorso a fuoco di artiglierie e bombardamenti aerei che stanno causando migliaia di morti tra i civili; sono stati distrutti quartieri di Damasco, gran parte della città di Aleppo, numerosi villaggi sospettati di ospitare ribelli (sembra che in questi casi la popolazione venga avvertita dell’azione aerea con due giorni di anticipo; si tratterebbe quindi di raid puramente punitivi). Si è anche accennato all’uso di gas tossici.
Per quanto riguarda il “che fare” da parte dell’occidente, non sono mancati interventi di rappresentanti di associazioni e ONG di vario stampo che hanno auspicato imprecisate azioni affinché “tacciano le armi”, forze di interposizione e supporti allo sviluppo economico sociale. A prescindere da tali pur lodevoli idee di anime belle, alla domanda se sia giusto e desiderabile un più massiccio ed articolato invio di armi agli insorti, numerosi sono stati i “non lo so”, dato che, tra l’altro, non sarebbe possibile avere la certezza che le armi finiscano in mani “moderate”.
Generale è risultata la previsione che Assad cadrà; tutti si son detti d’accordo sul fatto che, ove ciò accadesse, seguirebbe il massacro di circa mezzo milione di alawiti e l’esodo di non meno di 5 milioni di profughi.
E’ emersa l’opinione che un sostegno in materiale bellico agli insorti da parte dell’occidente potrebbe indurre Assad a ritirarsi da Damasco in una zona definita “oltre il fiume Oronte” e a trattare per la costituzione di una Federazione di Stati omogenei per religione.
Nessun accenno è stato fatto a cosa succederebbe ai siriani cristiani (circa il 10% della popolazione) se, grazie al deciso sostegno in materiale bellico da parte dell’occidente, la parte jhaidista/qaedista finisse per travolgere violentemente Assad instaurando una repubblica islamica basata sulla sharia. Per quanto i cristiani siano stati definiti estranei alla guerra civile (la “fitna”) in corso, è rimasto oscuro il motivo dell’assenza di preoccupazione per la loro sorte.
Come si può notare da questi succinti appunti il quadro politico in Siria è complesso e difficilmente sbrogliabile. Il Medio Oriente continua a rappresentare un focolaio di instabilità, soprattutto alla luce della presunta morte del re saudita Abdullah. Fragili equilibri sono in gioco e l’unica speranza di una pace siriana risiedono, a mio avviso, nel successo delle conferenze occidente-oriente che vedono, in particolare, coinvolti USA, Russia e Turchia e dove il ruolo della Cina sembra non andare al di là della tutela dei propri interessi nella zona. A Ginevra se ne parlerà, ma la strada è ancora lunga.

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