di Caterina Ferruzzi
“Il Palazzo Enciclopedico”. E’ questo il titolo della 55° Esposizione Internazionale d’Arte scelto dal giovane curatore Massimiliano Gioni. Un richiamo alla raccolta del sapere che qui si presenta concreta e visibile e non di certo utopica come il faraonico progetto, mai messo in atto, da Marino Auriti. Era infatti il 1955 quando l’artista autodidatta italo americano depositò all’ufficio brevetti i progetti per il palazzo enciclopedico, enorme museo immaginario, che conteneva tutta la conoscenza umana, dalla scoperta della ruota a quella del satellite. Un proposito molto complesso e irrealizzabile per le sue proporzioni, ma che Auriti definì nel dettaglio. Basti pensare che per contenere questa infinita raccolta di sapere sarebbe stato necessario un edificio di 136 piani, alto nel complesso 700 metri e diffuso in ben 16 isolati della città di Washington.
Questa 55° Biennale d’Arte di Venezia si prefigge dunque lo scopo di indagare sul desiderio di conoscenza, in particolare quando esso diventa vera e propria ossessione.
Per quanto gli spazi della Biennale siano cresciuti ulteriormente rispetto alla precedente edizione (le Sale d’armi sono appena state restaurare e ospitano ben 4 padiglioni nazionali) non si è certo arrivati alle dimensioni teorizzate da Auriti, ma di certo Massimiliano Gioni ha fatto uno sforzo notevole a raccogliere negli spazi di Giardini, Biennale e altre location sparse per Venezia, opere d’arte contemporanea recenti e meno, creando così un’ esposizione che è raccolta di opere di diversi momenti storici, tra il ‘900 e oggi, ordinate in una concezione decisamente museale, come mai fatto in precedenza.
Parlare di ogni singola partecipazione nazionale ed evento collaterale è davvero impossibile in poco spazio. Quest’anno erano 88 gli Stati partecipanti e ben 47 gli eventi strettamente legati alla manifestazione.
Il Padiglione Italia, aspramente criticato da Vittorio Sgarbi, non si può certo dire che abbia entusiasmato la critica. Intitolata “Vice Versa” e curata da Bartolomeo Pietromarchi, l’esposizione si basa sul modello dei concetti polarmente coniugati di Giorgio Agamben e Italo Calvino. Sono infatti presenti quattordici artisti, presentati due a due, con opere tra loro dialoganti, di volta in volta. Ciò che sicuramente rimarrà impresso nello spettatore è in realtà ciò che nel Padiglione non si vede, ma si sente. La fragranza al rabarbaro ideata da Luca Vitone è una vera e propria scultura acromatica monolfattiva che rievoca l’inalazione delle polveri di Eternit da parte di moltissimi lavoratori in tante fabbriche in epoche non troppo lontane.
Tantissime sono le reazioni di fronte ad ogni singola opera in ciascun padiglione. C’è stupore (come nel caso delle Bahamas), curiosità (come per la video installazione di Studio Azzurro nel padiglione della Santa Sede), incomprensibilità, commozione o disgusto . Una gamma davvero innumerevole di emozioni si susseguono di luogo in luogo lasciando inevitabilmente un forte impatto sullo spettatore, sia esso un “addetto ai lavori” o no. Fotografie, sculture (anche viventi), oggetti, video, installazioni, l’arte si esprime in molteplici forme.
Una 55° edizione dell’Esposizione rappresentata dai grandi numeri. Per la vernice sono stati accreditati più di 5000 giornalisti, le opere esposte sono ben 4500, i metri quadri all’Arsenale 46mila, 50mila quelli dei giardini a cui si aggiungono gli edifici (palazzi e anche chiese) che ospitano padiglioni ed eventi collaterali in giro per la città. Dieci le nazioni che per la prima volta partecipano alla manifestazione: Angola, Bahamas, Regno del Bahrain, Costa D’Avorio, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Maldive, Tuvalu, Paraguay e la Santa Sede. Grande attesa, come si può capire, per quest’ultima partecipazione che ha visto all’inaugurazione, venerdì 31 maggio, la presenza del Cardinale Ravasi.
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