Di Francesca Lippi
La notizia è di pochi giorni fa: fine della recessione. L’incubo quindi dovrebbe essere terminato anche se le masse non riescono ancora a vedere i risultati. Possiamo farci passare il ‘mal di pancia’?
Chi lo dice e come mai?
Innanzitutto a decretare il termine della crisi più lunga dopo la Grande Depressione del ‘29, è stato il National Bureau of Economic Research (Nber), l’istituto di ricerca statunitense dedicato alla promozione della conoscenza dell’economia. Su che base, però? E che metodo utilizza per stabilirlo? In primo luogo la definizione del Nber non si basa unicamente sul Prodotto interno lordo, poiché tiene conto del “calo significativo dell’attività economica diffusa in tutta l’economia, del reddito reale, dell’occupazione, della produzione industriale, e della vendita all’ingrosso e al dettaglio”. Ovviamente poi l’ufficio calcola l’attività economica basandosi sulle statistiche mensili e non unicamente sulle cifre trimestrali.
Utilizzando diverse metriche e datando le recessioni di questi mesi l’Nber è stato in grado di valutare la complessità delle fluttuazioni delle economie dei paesi. James Poterba, docente di Economia e Presidente della Nber, spiega che “due trimestri consecutivi di modesto calo della produzione reale non possono costituire una significativa diminuzione dell’attività economica”. Al contrario, prosegue Poterba, “un periodo di alternanza fra un forte calo trimestrale e alcuni modesti periodi di ripresa potrebbero rappresentare un significativo declino di lunga durata dell’attività economica”. Nel valutare le sfumature del percorso attuale dell’economia, l’istituto di ricerca ha datato l’inizio della recessione al dicembre 2007. Il momento è stato stabilito anche se il Pil era leggermente aumentato durante i primi mesi dell’anno successivo e nonostante l’occupazione avesse raggiunto un picco proprio a dicembre 2007. “Oggi –dice Poterba- 15 mesi dopo che l’economia ha iniziato la sua lenta ripresa, la disoccupazione resta di molto superiore alla sua media storica, il che suggerisce che vi sono ancora notevoli risorse sottoutilizzate nella nostra economia”. Questo non sembra contraddittorio al direttore dell’Nber che conclude dicendo che “è possibile per l’economia il fatto di essere su una traiettoria di lento miglioramento anche quando il tasso di disoccupazione è ben al di sopra della sua media storica. La distinzione fondamentale risiede tra il livello di attività economica e il tasso di cambiamento che può essere positivo, nonostante il livello economico sia basso, come avviene attualmente”.
UE: se la crisi fa bene alla salute
Intanto in Europa arrivano buone nuove per la salute: incredibile ma vero, la crisi potrebbe aiutare a combattere il cancro. Non si tratta di uno spot di fantasia né di una canzone di Enzo Jannacci. Sembra proprio che con la riduzione dei costi ottenuta grazie all’adozione di abitudini di vita più sane, si potrebbero aiutare le persone ad evitare alcuni tipi di tumore. Lo European Journal of Cancer (Ejc, la rivista ufficiale dell’Organizzazione europea del cancro) riporta che all’interno dell’Unione l’incidenza di questa malattia è aumentata circa del 20% dal 2002 al 2008. In uno degli studi presentati nel EJC, José M. Martin-Morena dell’università di Valencia ha affermato che l’attuale crisi economica in Europa potrebbe avere degli effetti sull’incidenza di questa malattia in moltissime aree. L’idea di Martin-Morena è che i Governi e le aziende farmaceutiche potrebbero essere spinte a ridurre drasticamente i budget per la ricerca e lo sviluppo. A questo si deve aggiungere il rischio di crollo delle donazioni alla ricerca contro il cancro e il probabile incremento dell’esposizione sul posto di lavoro alle sostanze cancerogene. Questo per esempio avverrebbe perché “sia le aziende private che i Governi tendono a prendere delle scorciatoie nei controlli di sicurezza sul lavoro durante i periodi di crisi economica”. Eppure il ricercatore spagnolo è convinto che la prevenzione dei tumori potrebbe essere migliorata proprio durante questi momenti bui per i mercati. La riduzione dei costi ottenuta grazie all’adozione di abitudini di vita più sane potrebbe infatti aiutare molti a evitare il cancro. “Anche i governi potrebbero fare la loro parte – è stata la conclusione di Martin-Moreno- potrebbero infatti cogliere l’opportunità per imporre tasse più elevate su tabacco, alcol e altri prodotti malsani come i grassi insaturi o gli zuccheri raffinati e per incanalare le entrate così ottenute verso la creazione di posti di lavoro nella prevenzione e nei programmi di benessere sociale”.