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L'inclusività come daily attitude

di Marina Capasso
Come si può giudicare un bambino da una fotografia? Possiamo evincere una difficoltà o uno svantaggio dall’aspetto fisico o da un atteggiamento colto per puro caso attraverso un flash? Ovviamente no. Eppure può succedere agli insegnanti di cadere nella trappola e giudicare ed etichettare i bambini, influenzati dalle proprie visioni e dalla carenza di competenze specifiche e indispensabili nell’approccio alle problematiche inerenti al bescomplesso mondo dei cosiddetti B.E.S. (Bisogni Educativi Speciali). Perché in relazione alla delicatissima tematica c’è ancora molta confusione. Tanti docenti, infatti, si affidano a brevi corsi organizzati nelle scuole, altri, più scrupolosi si arrabattano tra i materiali in rete e i numerosi seminari pagati con il proprio stipendio, ma è ancora tutto troppo lasciato al caso. Eppure dal punto di vista normativo, sia per la Legge 170 del 2010, relativa alle “nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” sia per la Direttiva Ministeriale del 27 Dicembre 2012 inerente agli “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali”, è prevista una attiva azione da parte di tutti i formatori, dalla rilevazione dei casi alla produzione di piani educativi personalizzati (PDP). E’ avvenuto, quindi, uno spostamento operativo dal docente di sostegno a tutti i docenti curricolari e si è verificata una trasformazione dal carattere specifico della disabilità ad un mare magnum di svantaggi racchiusi nella definizione di BES. Gli insegnanti attualmente sono scettici, titubanti, ma soprattutto sono spaventati dalla prospettiva di una mole di lavoro enorme, totalmente incentrata sulla individualizzazione, che, ancor di più se non indirizzata e assistita, diventa ai loro occhi quasi irrealizzabile, anche perché in ogni classe, quando si è fortunati, si è in relazione con venticinque alunni, ognuno con i propri bisogni educativi specifici. L’obiettivo proposto, ovvero quello di realizzare una scuola tangibilmente inclusiva, in cui a chi apprende sia garantito il diritto all’istruzione attraverso la possibilità reale di assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità, sia in ambito sociale, sia professionale, in un mondo di ‘diversità’ è imprescindibile.
E’ giusto far si che tutti i docenti arrivino pian piano ad adottare e a far proprio l’abito mentale della personalizzazione, arrivando ad utilizzarlo come automatismo. Ma per rendere tutto questo realizzabile e non solo una lontana chimera, bisogna lavorare molto, quotidianamente, fornendo realmente le condizioni per operare. Bisognerebbe prevedere percorsi di seria e specifica formazione, rendendola magari obbligatoria, creare momenti di co-costruzione e successiva condivisione di giusti strumenti e di “buone pratiche”, elaborate in un confronto e dialogo costante al fine di supportare coloro che con dedizione, giorno dopo giorno, vedono e rivedono il proprio lavoro, mettendosi costantemente in discussione. Solo in una rete di scambi e conoscenze si potrà arrivare ad interpretare realmente l’inclusività come daily attitude.
 
 

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