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Da casa a Marte, lettera di una emigrante all'Italia

di Roberta Martucci Schiavi
Cara Italia,
come stai? Mi hanno detto che non te la passi molto bene, anzi. Mi dispiace saperlo e ti volevo dire che io non ti ho dimenticata, che a volte ti penso e che mi capita anche di tornare da te. Sei stata la mia casa per moltissimi anni della mia vita e qualcuno mi obbietta che sei ancora la mia casa, anche se vivo lontana, anche se sono una emigrante. Io però dico “no, non è così. Non è più la mia casa”. E non ti offendere, Italia, ma non ti sento più casa mia. Non ci riesco. Sarà perché sei cambiata tanto, in questi anni, che a volte stento a riconoscerti.
Innanzitutto, mi accogli male. L’aereo atterra, io scendo e mi dirigo a ritirare i bagagli ed ogni volta te ne inventi una. Una volta mi hai fatto aspettare 2 ore prima che arrivasse la mia valigia, ma perché? Un’altra volta mi hai fatto trovare i bagagli miei e quelli degli altri passeggeri messi ad un angolo, incustoditi.italia-malata
Ho chiesto in giro e dicono che non sia così soltanto nell’aeroporto di Fiumicino…
Dicono, ecco, che sia l’Italia. Che sei tu.
E poi c’è tutto quel problema della crisi che ti ha cambiata molto. Ti racconto una storia. Negli ultimi due anni ho organizzato una cena di classe, hai presente quelle adunate con vecchi compagni di scuola di 20 anni fa? Ho rivisto questi giovani uomini e queste giovani donne dei quali ricordavo perfettamente i sogni e le speranze di un tempo, gli occhi pieni di futuro. Non voglio dire che nessuno sia felice, voglio dire però con fermezza che la maggior parte di loro sta arrancando.
Stanno arrancando.
Fanno fatica a fare una cosa che dovrebbe essere un loro diritto avere: lavorare.
Fanno fatica a pagare le bollette, a vivere da soli, a sostenere le spese. Ad andare qualche giorno al mare, l’estate.
Ti racconto anche una storia nella storia: alla cena di classe una mia ex compagna ci spiegava le difficoltà che stava vivendo perché il marito aveva perso il lavoro. “Almeno io lavoro, anche se in un call center, è sempre qualcosa”. E ci diceva che era anche brava, che riceveva dei bonus. Il giorno dopo la cena ci ha scritto per comunicarci che il call centre aveva chiuso e che, conseguentemente, lei aveva perso il lavoro. Così, da un giorno all’altro. Ho raccontato questa cosa alla mia famiglia e mi hanno risposto che è così, è normale. “Oggi è così”.
C’è tanto malcontento, non so se di questo ne sei a conoscenza. Le persone hanno smesso di essere gentili, mi sembra, di essere pazienti. Al supermercato, in ufficio, in un negozio, c’è tanto malcontento. Mi hanno spiegato che le persone sono stanche perché lavorano tanto.
Conosco bene un ragazzo di 30 anni che lavora in un supermercato e che lavora anche fino 12 ore al giorno. Ma, scusa la mia ignoranza Italia, è legale?
Conosco anche un uomo di 64 anni che lavora quasi 12 ore al giorno. È mio padre. Lavora per la stessa azienda da più di 30 anni e non guadagna ancora abbastanza da potere fare cose che io, alla metà dei suoi anni, riesco già a fare nel paese dove ho scelto di vivere. La mia nuova casa.
Sono tornata da te proprio in questi giorni e qui la mia famiglia non fa che parlare di tasse da pagare. Apparentemente c’è una tassa nuova, con un nome nuovo che mia madre non riesce a memorizzare. Dice che sta per scadere e la vedo spesso a telefono a cercare delucidazioni su questa tassa. Ma ce ne sono tante, dicono.
Troppe, forse.
italia_stampelleNon lo so Italia, ti devo dire che davvero non ti riconosco più.
Io non me ne sono andata per via della crisi, me ne sono andata e basta. All’inizio, quando tornavo, mi sentivo davvero ancora a casa, adesso, invece, arranco. Arranco come i miei ex compagni di scuola, anche se in un senso diverso.
Arranco a dire che questa sia casa, che questa possa essere casa per i miei figli, mi spaventa l’idea che non potrò mai tornare, non a queste condizioni.
Perché, Italia, io qui con te, da te, mi sento un’aliena. Anzi, mi sentivo.
E davo la colpa di questo alle mie nuove abitudini, al fatto che nuove culture si fossero insinuate nella mia vita, nei miei modi di fare, di pensare.
Da qualche tempo invece penso che non sono necessariamente io l’aliena, ma che, forse, Italia, ti sei trasformata tu.
Sei diventata Marte.

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