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Successo di pubblico per il Dancity Festival di Foligno

testo di Stefano Rosolia – foto di Manuel Passeri
Era l’Ottocento ed allora le terre conosciute all’uomo si limitavano alla zona del Mediterraneo. Proprio all’epoca una credenza comune poneva Foligno al centro del mondo. Nonostante il tempo sia trascorso abbondantemente, quell’alone magico e surreale sembra essere rimasto donando al piccolo borgo umbro un fascino magico e surreale, che si riscopre da nove anni a fine Giugno, in occasione del Dancity Festival. Abbandonati intrugli e pozioni, ora l’alchimia si compone di decibel e macchine e da un “ingrediente segreto”: il calore umano. È stata proprio questa combinazione a far sì che il centro si popolasse di più di novemila presenze, giunte dall’Italia e non solo, per rappresentare lo stesso spettacolo all’unisono. Non è stata solo musica, arte (come le numerose mostre ed iniziative organizzate in questo periodo) e voglia di festa, ma di qualcosa di unico che ci ha avvolto in modo fervido ed irruente.Dancity Festival  006- www.messermanue.it
Il festival ha inizio la sera del 26 Giugno nella suggestiva location di Palazzo Candiotti, sapientemente attrezzato per l’occasione, e il compito di aprire le danze va a Jessy Lanza che con la sua voce sensuale e i synth di sapore nettamente 80’s, strega immediatamente il pubblico. Non c’era miglior modo di iniziare questo “viaggio”. Il testimone passa poi a Caribou e alla sua band (per l’album in uscita ad Ottobre c’è stata la collaborazione proprio con Jessy Lanza, ndr), ormai dei veterani del palcoscenico, che danno conferma di un talento sconfinato riarrangiando in maniera impeccabile i brani incisi. E’ un sali e scendi di toni, velocità alte e basse, insomma un live pazzesco che ci manda in estasi, soprattutto durante i successi dell’album “Swim”, come “Odessa” e “Bowls”. A live terminato, ci dirigiamo all’Auditorium situato a pochissimi passi dalla location precedente, e rimaniamo stupiti dalla suggestiva atmosfera: ci troviamo in una chiesa del 1200, in cui si intravedono degli affreschi ancora conservati, che si stagliano alle spalle della consolle di Helena Hauff. Sin dai primi vinili di chiara matrice techno-industrial teutonica, i bpm e i bassi salgono vertiginosamente, ed è impossibile non tenere il ritmo ballando. Il set finisce inaspettatamente con una parantesi ispirata alla new wave, mandandoci a casa decisamente soddisfatti.
Il giorno dopo si inizia dal pomeriggio, in Largo Frezzi, cuore del quartier generale del Festival, con lo showcase della crew romana LSWHR. La sperimentazione sonora che li ha da sempre caratterizzati, trova il suo riferimento massimo nel maestro delle macchine Enrico Cosimi, qui con il progetto Tau Ceti,  che tra un pomello e l’altro sembra in tutto e per tutto un direttore d’orchestra elettronica. A seguire ci sono il live di Filippo Scorcucchi e i dj set di Luciano Lamanna, Rawmance e Salvatore Stallone. Per la sera ci spostiamo all’auditorium per il doppio live di Murcof & Vanessa Wagner seguito poi da Neneh Cherry con i RocketNumerNine. Nonostante siano trascorsi diciotto anni dal suo ultimo disco “Man”, Neneh non sembra per nulla aver sentito il tempo che passa esibendosi in un live oltremodo intenso e sentimentale, in cui vengono eviscerati tutto il suono della trip hop che tanto ha contraddistinto gli anni 90. Una volta terminato ci catapultiamo subito al Serendipity, famoso club folinense, per l’ultima lunga parte della nottata. Ad aspettarci ci sono ben tre aree due interne e una esterna. La parte interna ha solo una cosa da dire: Techno, grazie ai dj set dello showcase di S/V/N, di Petar Dundov e dell’acclamatissimo DVS1. Quest’ultimo sfoggia tutte le sue capacità miste ad un grande fomento, si diverte e fa divertire e tutta la sala balla lo stesso cadenzato ritmo a botta di dischi di Zak. Ad animare l’esterno, ci pensano i dj dell’etichetta Hessle Audio, ovvero Ben Ufo, Pangaea e Pearson Sound, con toni sicuramente più House. Partono un po’ in sordina, ma ci mettono poco a leggere la situazione e a capire come animare il numeroso pubblico. Il loro dj set va avanti fino all’alba, ed è un continuo di passi e saltelli, garantendo ore di divertimento puro.
Arriva, infine, l’ultimo giorno che si apre sempre a Largo Frezzi, dove si susseguono i dj set/live dell’organizzazione partenopea LSC e quello di Sauro Cosimetti, dj di grande sostanza che si fa riconoscere immediatamente grazie a suoni house, funky e progressive. Vedere gli organizzatori e i passanti (non proprio di primissimo pelo) divertirsi, è davvero emozionante e contribuisce a dare ulteriore brio ad un’atmosfera già frizzante. Arriva poi il momento che noi e molti altri aspettavamo da tantissimo tempo, ovvero il live di “Sir” Theo Parrish accompagnato da una band di primissima scelta (basta citare Amp Fiddler alle tastiere per capire). Non vederlo dietro ad una consolle di uno scuro club, all’inizio ci spiazza un po’, ma è dopo il primo giro di basso che capiamo l’incredibile spessore dell’artista, che ha saputo riscrivere i suoi brani in modo ineccepibile. Nonostante la comodità delle poltrone rosse dell’Auditorium, è impossibile rimanere seduti, e come tarantolati, tutta la sala si alza per seguire i passi dei quattro (divertentissimi) ballerini sul palco e il ritmo forsennato della band. Theo ha questo potere sovrannaturale di trascinare le persone nei suoi ritmi,  spesso neanche troppo lineari,  riuscendo ad entusiasmare e suscitare emozioni recondite a chiunque si trovi a portata di cassa. Dopo due ore di live si esce dalla sala con i lacrimoni e la pelle d’oca, come quando si saluta un caro amico che sta partendo. Recuperate le ultime forze, si torna a Palazzo Candiotti dove ci attende uno “scatenatissimo” Omar Souleyman, personaggio eccentrico e non ben definito che suscita in noi una serie di interrogativi ancora aperti. Decidiamo quindi di passare all’interno dove si esibiscono Felix Kubin & James Pants. Nel live, grazie alla loro grande abilità, si fondono le due diverse anime, una dark synth-pop, l’altra più dancefloor generando un’atmosfera cupa ma ballereccia. A terminare il festival ci pensa  Bambounou, che si trova a suonare all’aperto davanti ad un’accesissima marea di gente. L’artista francese, forte del clamore del pubblico,  si diverte come un bambino e chiude alle 5 del mattino con un’interessantissimo set con lo storico disco “Deep Inside (The Dub)” degli Hardrive.
Il sole sta sorgendo e non ci resta che andare a dormire con una gran gioia e con la certezza di voler essere presenti all’edizione 2015 del Festival.
Sicuramente il Dancity non c’era nell’Ottocento, ma dopo questa esperienza non possiamo che confermare la teoria sulla centralità del Mondo.
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