di Marina Capasso
Quello dei Tricatiempo è un progetto complesso, nato nel 2000 dall’idea di Stefano Costanzo, batterista e compositore campano, è un costante work in progress ed un melting pot di numerose idee e stimoli variegati. “Tricare il tempo”, in napoletano arcaico, significa avere la pazienza di saper aspettare che le cose prendano la forma esatta. E tutto il loro progetto musicale, fatto di sonorità dilatate e ardite improvvisazioni, si basa su questo complesso concetto e sulle forme che il tempo può assumere, attraverso un approccio quasi filosofico. Il loro stile compositivo trae ispirazione dal cinema, dai grandi autori e compositori che hanno segnato la storia della musica e dagli stimoli della vita quotidiana. Inizialmente costituito da un duo di musica elettronica, ampliatosi man mano durante i vari live set, inizia a prendere forma col passare degli anni, avvicinandosi all’elettronica e al post-rock. Stefano, affiancato dal chitarrista Marcello Giannini (Slivovitz), dal vibrafonista Marco Pezzenati (Orchestra Stabile del San Carlo) e dal bassista Daniele Sorrentino, pubblica nel 2013 il debut album omonimo per l’etichetta pugliese Auand Records. Il disco, impreziosito dalla presenza dell’eclettico trombettista napoletano Luca Aquino e missato negli Stati Uniti da Roger Seibel, riceve numerosi consensi da parte del pubblico e della critica. Tricatiempo oggi, invece, inverte la rotta e inizia a dialogare con la musica contemporanea e con le forme del jazz più minimale e oscuro. Per perseguire questo nuovo obiettivo, si forma, quindi, un nuovo quintetto che vede, accanto a Costanzo e Pezzenati, Luigi Di Nunzio al sassofono contralto, Davide Maria Viola al violoncello e Ron Grieco al basso elettrico. Sabato 19 luglio alle ore 21, il quintet si esibirà per il Pomigliano Jazz Festival…. E ne sentiremo delle belle…
Stefano ci racconta degli stimoli che fanno nascere la musica dei Tricatiempo.
Quali sono le fonti di ispirazione e le sensazioni che influenzano la nascita dei tuoi brani?
«Tricatiempo è il contenitore dentro il quale butto svariate idee da diversi anni, credo dal 1999 circa, per cui è legato alla mia adolescenza e a tutte quelle sensazioni visionarie che caratterizzano quel periodo. Le cose che scrivo (senza avere la presunzione di considerarmi un compositore sia chiaro!) vengono influenzate sicuramente dalle cose che ascolto, ma molto mi arriva dal cinema, dalle cose che leggo, o da forme retoriche. Ad esempio una delle tracce del disco si chiama Noumeno e la scrissi subito dopo aver visto “Stalker”, un film degli anni settanta di Andreij Tarkovkij. Drakeiana, altra traccia del disco, è ispirata alla musica di Nick Drake, cantautore inglese vissuto troppo poco e autore di tra album meravigliosi. Timanfaya (altro brano del disco), è il nome di un area vulcanica che si trova a Lanzarote dove, dopo settimane di eruzioni intorno al 1700, si creò un deserto lavico. Questo è anche il luogo dove Kubrick girò le scene delle scimmie in “2001 Odissea nello spazio”. In aereo di ritorno dall’isola canaria pensai al groove su cui è costruito il brano. Altre volte invece sono i titoli stessi ad ispirare i brani, che spesso appunto sono figure retoriche come ossimori o anafore».
Come si relaziona la concezione del tempo alla tua musica?
«Di sicuro ha un ruolo importantissimo, infatti, il nome del gruppo, Tricatiempo, appunto, in napoletano antico vuol dire avere la pazienza di saper aspettare. Oltre che nel titolo, l’elemento “tempo” è presente anche come aspetto legato alla musica, anche se parte da un concetto filosofico e cioè dalla differenza di tempo inteso come “kronos”, che in termini musicali viene inteso come tempo scandito in maniera precisa e serrata, e tempo “aiôn” trasformato in musica come tempo aperto, libero e senza scansione metrica. Attualmente nei brani nuovi a cui stiamo lavorando, cerco di far convivere questi due aspetti opposti in modo simultaneo come scelta stilistica, come in un ossimoro».
Cosa significa “fare musica”, in termini di fatica e investimento, in un contesto particolare come quello partenopeo?
«Significa soffrire molto, scontrarsi con la chiusura che spesso incontriamo quando proponiamo la nostra musica ai “localari” che, invece, preferiscono gruppi che propongono musica più vicina all’intrattenimento piuttosto che qualcosa che nasca da una ricerca di qualcos’altro invece delle solite cose trite e ritrite. Tutti quelli che ci ascoltano con interesse, non fanno altro che ripeterci che se fossimo nati all’estero avremmo avuto più soddisfazioni. Abbiamo molte difficoltà a trovare spazi in cui questo tipo di musica può essere ascoltata con il giusto interesse. Con questo non voglio dire che facciamo musica “nuova” o avanguardistica. Non credo che portiamo nulla di alieno e non mi interessano le avanguardie. Quello che mi interessa è “vomitare” le cose come stanno, senza edulcorarle. Non mi interessa il consenso del pubblico. Quello che faccio e che facciamo in generale con Tricatiempo, lo facciamo in modo del tutto naturale e spontaneo».
Progetti futuri? Dove vi ascolteremo prossimamente?
«Per il futuro stiamo lavorando agli arrangiamenti di nuovi brani. Da quando abbiamo cambiato la formazione sostituendo la chitarra elettrica con violoncello e sassofono contralto, il sound è molto cambiato e la cosa mi sta stimolando parecchio a scrivere nuovi pezzi, quindi, penso che in autunno registreremo il nuovo materiale. Per i concerti dal vivo, dopo il concerto del 19 luglio al Pomigliano Jazz Festival 2014, stiamo valutando nuove proposte per il prossimo autunno».