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Noi, inconsapevoli neoanalfabeti

di Jacopo Paoletti
Vi leggo, e mi rileggo, lungo la timeline di Facebook. E la più grande frustrazione è non riuscire a spiegare il nostro tempo con le nostre parole. So di non essere il primo a chiedermelo ma, seriamente, da quanto non ci guardiamo più e non ci ascoltiamo più. E non parlo dell’ultimo post, dell’ultimo status, o dell’ultimo tweet. Parlo di te, di me.frustrazione
Quand’è che abbiamo smesso di essere persone per essere brand. Quand’è che siamo diventati segmenti di mercato invece di essere umani. Voglio tornare ad essere qualcuno, e non qualcosa. Perché questa “esigenza”, quasi ossessiva, commerciale, di apparire ad ogni costo, ci ha fatto sopperire a ciò che ci circonda, senza alcuna cultura e pensiero critico, facendoci forse scomparire come umanità. Non sappiamo più osservare per capire. Non sappiamo più aspettare per approfondire. E questa incapacità è il nostro neoanalfabetismo nell’interpretare e plasmare la realtà.
La molteplicità di voci, canali, contenuti ha aumentato il rumore, la frammentazione, la separazione. La velocità di accesso, dei messaggi, del percepito cresce insieme alla superficialità, all’alienazione, all’assuefazione. La precarizzazione dei rapporti, del lavoro, della vita sta esasperando il concetto stesso di individualità, perdendo ogni sua essenza. La materialità, l’avere a qualunque costo, sembra essere l’unica possibilità per esistere. E l’entropia di questi fenomeni si sintetizza come una generalizzata disumanizzazione.
La chiamano recessione economica, ma la nostra è prima di tutto una recessione umana, uno svuotamento del significato delle parole, e quindi di noi. Lo stato politico, sociale, culturale, etico, morale in cui galleggiamo sono solo la conseguenza di questo processo. Perché non è la libertà di dire, scrivere, esprimere, essere parole che ci siamo tolti, ma quella di riempire le stesse del loro senso, e quindi di farle vivere. Forse ora sappiamo di essere in tanti come sappiamo di esser soli. E anche la consapevolezza, vaga illusione, è solo un nuovo stadio della rassegnazione. E resta inespressa, come queste parole, sulla pagina di uno schermo.

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