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Simona Marchini si confessa al Teatro Sistina

Simona Marchini con poche battute e una vincente falsa modestia di memoria manzoniana, cattura la sua platea prima ancora di sfogliare il suo zibaldone teatrale: La Mostra. Confessioni semiserie sull’arte.
Lo spettacolo, scritto insieme a Claudio Pallottini e diretto da Gigi Proietti, è una trasposizione teatrale di una galleria d’arte, nostalgico crocevia di quegli artisti, scrittori, musicisti e registi che nel tempo mitologico della Roma degli anni ’60 –’70 si potevano incontrare, in un tardo pomeriggio qualunque, seduti al tavolino del Canova, ignari di quanto sarebbe diventata leggenda anche solo una loro battuta o una loro pausa caffè.FOTINA MARCHINI
La galleria rappresentata da Simona Marchini sul palco del teatro Sistina è abitata da anime semplici e fedeli all’arte (seppur ignorandone il linguaggio) come il custode Angelo; da artisti bizzarri e sublimi come il maestro Andrea Bianchi (che ha eseguito magistralmente dal vivo i brani musicali); da donne veraci, voraci, vanesie e voluttuose che di volta in volta vestono gli abiti e gli accessori della scenografa e costumista Susanna Proietti nonché il corpo e la voce di Simona Marchini.
Ed è proprio l’attenzione alle radici culturali ed eterogenee della lingua italiana, colorata e dispersa nelle sue così lontane varietà dialettali, a conferire al quasi monologo della Marchini, un carattere che non vuole essere solo esilarante, ma anche descrittivo di un’Italia viva e sanguigna che gorgoglia fuori dai salotti borghesi pregnanti di naftalina e di purismi espressivi.
Le parentesi dialettali in napoletano, milanese, pugliese, spoletino, perugino e calabrese si uniscono a riconoscibili inflessioni straniere e rappresentano, come pennellate su tela, delle figure umane ben definite che Simona Marchini ha incontrato o immaginato nella sua Vita, l’unica star cui l’attrice ha ceduto i riflettori  del Sistina.
Lo zibaldone della Marchini raccoglie nitidamente gli aneddoti, gli episodi e le persone della sua biografia inesorabilmente legata alla Galleria d’Arte “Nuova Pesa”che fu fondata da suo padre a Roma nel 1959 e che ora l’attrice gestisce  personalmente. Tali ricordi sono intervallati da considerazioni, riflessioni e denunce dell’Arte oggi in Italia, serva, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello, ridotta alla mercè di mercanti e venditori e di inestirpabili raccomandati.
Giocando con lo slogan ‘L’arte è tutto ciò che non è ovvio”, Simona cita suo padre e critica aspramente il qualunquismo e il pressapochismo di  questa era di finti artisti colti da crisi non d’ispirazione, ma di isterismo e si infervora nel ricordare quanto questa superficialità nell’affrontare un tema così sublime sia stata il leit motiv delle politiche culturali degli ultimi anni.
Il riferimento politico all’infelice destino degli scavi di Pompei e del ministro  dimissionario Sandro Bondi diventa inesorabile, coraggioso e pertinente , sviluppato con costanti eleganza ed ironia.
(S)parlando dell’ex ministro per i Beni e le attività culturali, è stato un attimo veder scivolare il discorso sul cerone, sul cagnolino e sulla baby fidanzata di quel cavaliere oramai così inesistente da essere fuori posto anche sul palco di una satira che lo ha sempre prescelto come facile bersaglio.
E così quell’ovvietà che è stata tenuta lontana da uno spettacolo di contestazione della stessa, ha fatto capolino, seppur per qualche minuto, tra battute facili e applausi oramai assuefatti ad anni di satira anti cavalleresca.
A parte questa parentesi, le ore dedicate a La Mostra hanno reso giustizia alla grandezza di un’attrice che ha raccontato, con tanti personaggi e a tante persone, la sua dicotomica missione di mecenate protettiva e di indomabile artista.
Annalisa Sofia Parente
 
 

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