Gran folla al cinema Barberini per la proiezione del film “Finding Happiness” (Vivere la felicità)
E’ un film documentario su Ananda, sulle comunità spirituali con sedi sparse in tutto il mondo. Una sola l’attrice della pellicola Elisabeth Rohm, che interpreta il ruolo di una giornalista inviata dal suo direttore per un reportage in California, in una delle sedi Ananda, la World Brotherhood Village.
Il resto dei protagonisti sono interpreti di se stessi, vivono infatti nelle comunità. Cinica e poco incline a credere, a ciò che non si conquista nella società di oggi, se non solo attraverso l’arrivismo e la competizione, dedita solo alla professione che le provoca felicità e potere, mal volentieri accetta l’incarico.
In sala osservavo alcuni di quegli abitanti le comunità, erano sulla sinistra della sala, avevano cantato quattro canzoni prima della proiezione. Vestiti con abiti stile indiano, tunica sotto il ginocchio e larghi pantaloni dai colori turchese, rosso, arancione, rosso, facevano pensare esattamente ai meravigliosi tulipani che scorrevano sul grande schermo, un giardino dell’Eden, dove tutto era pace, spiritualità. Il tutto corrispondeva alla realtà perché quei visi distesi e sorridenti nello schermo erano esattamente così da vicino, gentili, aperti e sereni.
Sono una poetessa non una giornalista e, come la protagonista, ero scettica, anzi sembrava quasi che lei recitasse me, perché ero esattamente come lei in apertura mentale, ma titubante, pronta a cogliere quella soffusa poesia che ammorbidisce il mio rigore emotivo, non incline alla meditazione da ferma, come lo yoga, origine del tutto, che invece viene insegnato in queste comunità ai bimbi per educarli alla concentrazione e che tutti all’interno praticano regolarmente. Il film è sicuramente un viaggio. Attraversa chilometri, prima in aereo, poi in auto, come quello della protagonista verso la ricerca dell’Io”, dove le pause, la meditazione, la porteranno a scoprire il vero significato della felicità.
Girato come un film classico americano, ha dato idea di essere un film documentario solo durante le interviste ai vari capi di settori diversi. La scelta dell’attrice, e il perché sia stata scelta lei, non è passata inosservata alla mia attenzione. Occhi molto grandi, colore del mare, trasparenti quasi, per dare la possibilità attraverso quel suo guardare limpido, la meraviglia delle “sue” scoperte, e trasferirle attraverso il film a centinaia di spettatori. Moltissimi i primi piani dentro gli occhi dell’attrice Elisabhet Rohm, che ben ha interpretato lo stupore della giornalista che un giorno dietro l’altro scopre che la competizione forse può diventare squadra, cooperazione, come nella comunità. Il cambiamento avviene senza schemi, orari, con la morbidezza di quei ritmi naturali ad ascoltare “se stessa”, e non in un città caotica, dove per lei fino a quel reportage, la natura era stata solo Central Park.
Quei suoi occhi, sono importanti, rilevanti, e sono sicuramente un “veicolo” formidabile per il messaggio e lo scopo del film.
Questo uno dei messaggi del film, la meditazione. Gli occhi dell’attrice, e il fermare la telecamera parecchi secondi, appunto, in pausa dentro quegli occhi, mi hanno portata a sentirmi fortunata, probabilmente io sono già in un cammino spirituale. Dopo che ho iniziato a vedere, sentire me, ed insieme osservare il mondo, le cose e le persone con occhi diversi, dopo aver avuto il coraggio di abbandonare quel lavoro nel quale ero anche la mia identità, perché ventitré anni della propria vita in una sola professione non sono pochi, ma soprattutto dopo che ho scelto me, oggi sono una poetessa.
Per questo hanno scelto lei, occhi chiari dove puoi leggere tutto, o quello che noi spettatori potevamo vedere, essere in grado di trovare, quello che più ci sarebbe servito, o magari un messaggio più grande, un’opportunità verso chi è ancora all’inizio del cammino verso l’IO. Abbiamo tutto in Noi, siamo unici, e ad Ananda, in quelle comunità iniziano ad educare all’autostima già da bambini, un sogno al di qua di quelle isole felici, dove a causa di questa grave mancanza, molti ricorrono a corsi o supporti diversi. Molte fragilità spesso espresse in sentimenti alla lunga autolesivi come invidia, gelosia, il sentirsi esclusi, offesi, denigrati, non essere in grado di essere all’altezza, spesso derivano da una scarsa consapevolezza di se; oltre questo lo scontro con il mondo, o con il singolo individuo detiene diversi sentimenti, dalla rabbia, alla frustrazione. L’altro però a volte è quella parte di me, di noi, che non voglio, che non vogliamo guardare allo specchio, non è bella, o fruibile per essere accettata, ma quello scontro è anche crescita, quell’attimo di infelicità, di rabbia, potrà essere l’esperienza che domani ti farà tendere una mano all’altro. Anche questo pensiero è affine e vicino a quelle isole felici, non so definirle in altro modo queste comunità. Alcuni di noi sono più fortunati di altri, e sono pronti ad afferrare i cambiamenti come motivo di crescita personale, anche se ci sono molte difficoltà. Yoga, musica, ma qualsiasi altra disciplina praticata con passione è pura felicità.
Penso e mi auguro una cosa, legata a delle donne osservate alla fine del film, chiedevano informazioni. Sul viso di alcune di loro ho letto sofferenza, solitudine.
Quanto potrei ancora parlare del film, di ciò che ho provato, avvertito, di come alcune cose, nelle conquiste della vita, dettate dalla sofferenza, sono diventate oggi felicità? Come non paragonare una di quelle comunità ad una grande famiglia, che accoglie come un genitore chi ha bisogno di essere aiutato? Questo l’altro dei tanti scopi del film “se vuoi, siamo qui, ti aspettiamo”.
Non Siamo tutti forse fagocitati dai doveri? Non siamo forse tutti dentro l’alibi del << non ho tempo ! >>. Credere di riuscire a raddoppiarlo quel tempo, è trovarlo, ma solo se lo vuoi. In occidente spesso l’educazione insegna a rispettare un verbo: dovere. Pochi si chiedono “io cosa voglio?” E questo per molti è portatore di grandi sensi di colpa, fare dilatare quel tempo solo per se, non rispetta “siamo nati per soffrire”.
Luigina Lovaglio