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Come e perché si diventa scrittori e non elettricisti

Più libri più liberi 2014 – Incontro con i vincitori delle tre edizioni del premio letterario Rai La Giara
Di Kristine Maria Rapino
Scrivo perché da piccola ho provato a mettere le dita nella presa della corrente. Non mi è piaciuto. Scrivo perché non so interagire con un cortocircuito. Non so apprezzare un quadro contemporaneo, figuriamoci uno elettrico. Non so civettare con l’interruttore del televisore e se non funziona, provo con velate intimidazioni. Alla peggio, lo picchio. Soprattutto, scrivo perché mi piace leggere. Tutto – un po’ meno, il conto dell’elettricista.
Andrea Camilleri dichiara di scrivere perché è sempre meglio che scaricare casse al mercato centrale. Peccato. L’osservazione diretta dell’efficienza aerodinamica dei roditori ha un fascino sottovalutato. Tolte le motivazioni più evidenti, come abbondanza di carta, di idee, di superficie cerebrale disponibile, si scrive per lo stesso motivo per cui si gioca a Sudoku: riempire le celle vuote, dare i numeri e soprattutto, fingere di capirci qualcosa.
P1070739A ‘Più libri più liberi 2014’, la Fiera della Piccola e Media Editoria, la domanda “perché si scrive” è arrivata puntuale. Col suo autista e la solita spocchia intellettuale. Ma in versione 2.0. L’incedere ardito del blogger, una copia dell’Economist sotto il braccio e un tablet con l’App della Treccani. Dopo un’ora, l’ho vista cercare con urgenza un bagno, una Bic e un panino con la porchetta.
Lo scorso sabato 6 dicembre nella Sala Rubino del Palazzo dei Congressi dell’EUR, Paola Gaglianone e Alessandro Salas, i curatori del Laboratorio di scrittura creativa Rai Eri, hanno incontrato i vincitori delle tre edizioni del Premio letterario Rai La Giara. Una chiacchierata informale sull’arte dello scrivere. Interessante. Efficace. Smart. Itali@magazine c’era. In qualità di allieva del Laboratorio Rai Eri, nonché di Suffragetta degli Emergenti – titolo che ormai indosso con presunzione romantica, non potevo mancare.
Perché la Rai fa un concorso per narratori? Ecco la spiegazione degli organizzatori: «I buoni romanzi, in realtà, sono quelli che rappresentano, meglio di qualsiasi altra forma d’arte, il clima collettivo di un’epoca. Rappresentano i bisogni, i desideri, le paure, le angosce che girano nell’aria di un periodo. Quindi, in questa ricerca così massiccia che darà vita a un vivaio di nuovi bravi scrittori, è importante che la Rai apra uno spazio di ricerca di nuovi contenuti». Ma chi sono questi coraggiosi guerrieri che in un’epoca come la nostra si avventurano ancora nella scrittura di un romanzo?
P1070737 (1)Conosciamoli. Le domande ai tre vincitori sono state poste dagli stessi coordinatori del premio, Paola Gaglianone e Alessandro Salas. Propongo quasi integralmente il loro intervento. Si parte dall’interrogativo iniziale: perché e per chi si scrive? La Gaglianone ha chiesto ai tre vincitori di rispondere in forma scritta. A cimentarsi nella prova sono Roberto Paterlini, bresciano, vincitore della prima edizione con il romanzo ‘Cani randagi’; Marco Marrocco, romano d’adozione, vincitore della seconda edizione con il suo ‘Come l’antenna per i passeri’; Roberto Moliterni, lucano, vincitore dell’ultima edizione con ‘Arrivederci a Berlino Est’, di prossima pubblicazione.
P. Gaglianone – Dunque, perché e per chi si scrive?
Roberto Paterlini scrive: «Mi verrebbe da dire che scrivo perché non posso farne a meno, o non mi interessa fare altro, o perché scrivere mi dà la speranza o giusto l’illusione che quando morirò avrò lasciato una microscopica traccia di me… Ma – chi lo sa? – forse lo faccio perché sono un disadattato cui piace stare da solo, chiuso in una stanza a inventarsi un mondo diverso da quello in cui vive… Credo si scriva perché scrivere, quando non ti fa impazzire, è molto divertente e appassionante, e somiglia un po’ a giocare, il che mi pare un buon lavoro e soprattutto un ottimo trucco per restare bambini o almeno non invecchiare troppo in fretta. Quanto a “Per chi scrivo?”, credo di farlo per i miei personaggi. È una risposta un po’ ermetica, me ne rendo conto. Vuol dire tutto e non vuol dire niente. Ma è così».
Marco Marrocco dice la sua: «La domanda è posta in maniera impersonale, così rispondo che si scrive per soldi, per bisogno, per vanità, ed anche perché Dio in persona ha voluto mettere per iscritto il Verbo. Chiedetelo a Mosè, il primo ghostwriter della storia – dovrei dire Godwriter. E si scrive per il pubblico di Natale e per quello estivo, che per la calura preferisce la glossa, alla frescura delle onde. Si scrive soprattutto per gli indiani della riserva, che nella letteratura continuano ancora a credere. Poi, se la domanda diventa personale ed è il sottoscritto a dover rispondere, dirò che scrivo perché non so dipingere, né suonare, né scolpire. Un impulso mi attraversa la mente, ma se avessi il coraggio userei la parola anima, e da quel momento in poi ne sono schiavo. Devo penetrare il mistero, dargli una forma, lasciarmi attraversare da una corrente. Perciò, scrivo per me. E tifo: miracolo. Ovvero che ciò che scrivo incontri un altro mistero e un altro bisogno, cioè quello di chi legge».
Roberto Moliterni, invece, risponde alla domanda scrivendo un vero e proprio racconto. E conclude: «Io continuai a scrivere comunque, tutte le settimane, anche quando forse lei non mi interessava più così tanto. Dentro i miei racconti, avevo scoperto, c’erano tante figlie di avvocato che mi interessavano di più di lei, perché erano proprio come le volevo io. Allora continuai a scrivere per raccontarmi tutto quello che mi mancava e poi scoprii che anche alle altre persone mancavano delle cose che io potevo provare a raccontare per renderli un poco più felici. Anche adesso, per esempio, mi mancava una risposta alla domanda “perché e per chi si scrive?” e anche oggi, per esempio, come ho imparato a fare allora, ho inventato una storia».
P. Gaglianone – Quanto e in che modo la scrittura fa parte della vostra vita?
R. Paterlini «Compatibilmente con il resto della vita, che purtroppo fa sì che non possiamo fare gli scrittori di professione. Scrivo molto, tutti i giorni. Non magari nello specifico della scrittura, ma anche nel documentarmi su quello che andrò a scrivere. Anche nella lettura, che secondo me fa parte della scrittura».
Hai parlato di “scrittori per professione”. Che cosa vuole dire per te?
R. Paterlini – «La professione è quella cosa che ti permette di mantenerti. Penso che noi per mantenerci dobbiamo fare altro. Inevitabilmente, c’è conflitto fra quella professione che ci fa comprare pane e burro, e quell’altra che ci arricchisce l’anima, mettiamola così».
Scrittori per professione non significa necessariamente “mantenersi”. Che ne pensate?
P1070754 (1)M. Marrocco – «Al di là del fatto che mantenersi non è certamente con la scrittura, perché anch’io mangio parecchio e dovrei scrivere tantissimo, credo che il professionismo sia quello che ti permette di dedicare un po’ più di tempo di quanto vorresti, e di quanto puoi realmente stare su un libro. Poi, scrivere non è scrivere nel momento in cui scrivi. Lo dico sempre: ci sono scrittori che scrivono solo quando scrivono, e scrittori che scrivono sempre. Cioè mentre dormono, mentre camminano, se parlano con qualcuno. Il momento della scrittura è quello più performante, quindi devi arrivarci pronto. Forse, l’unica cosa che vorrei di più è un po’ di tempo sano, sereno da dedicare alla scrittura, quello sì».
P. Gaglianone – Ci chiediamo sempre quanto la motivazione alla scrittura di questi giovani che stiamo selezionando sia costante, e quanto interpretino il mondo attraverso la scrittura. Secondo me “professione” significa questo: senza la scrittura ci si sentirebbe meno completi. E Roberto Moliterni cosa risponde in proposito?
R. Moliterni – «Provo a far sì che ci sia il tempo per scrivere, e non è assolutamente facile. Credo, nel mio caso come per gli altri romanzi presentati, che siano stati presentati di corsa. Finiti, magari con l’obiettivo del premio. Ma se avessimo avuto più tempo saremmo stati molto più felici. Però, più si scrive meglio è. Nel senso che a volte è anche un esercizio scrivere, non sempre delle cose bellissime. Ad esempio, io scrivo anche per i giornali. Anche quello, ho provato a trasformarlo in uno spazio di esercizio. Quindi, diventa un’operazione quotidiana».
Alessandro Salas interviene: «L’idea di mantenersi con la scrittura potrebbe essere un incentivo e uno stimolo a continuare». Ma si può vivere con la scrittura? Presente in sala c’è Anna Malerba, la moglie dello scrittore Luigi Malerba, una donna che ha dedicato tutta la sua vita alla narrativa. Ci dice la sua: «Può essere pericoloso. Una volta Gigi disse una cosa e suscitò un gran vespaio. Perché disse: “uno scrittore deve essere ricco”. Poi ha spiegato: lo scrittore deve essere libero dal danaro. E quindi, non dovrebbe mai scrivere per danaro. Per non scrivere per danaro deve avere dei soldi. E i soldi deve procurarseli in qualche altro modo, magari scrivendo delle altre cose, come per il cinema. Se tu scrivi e speri di guadagnare soldi da quello che hai scritto, sei in mano al tuo editore. Non sei più libero».
P. Gaglianone- L’argomento ha suscitato un dibattito vivace. Visto che ci siamo, voi che cosa fate per guadagnarvi il pane?
M. Marrocco – «Io lavoro in Rai e scrivo delle cose orribili che poi vanno anche in onda. Delle volte mi sento colpevole. Mi sento come quello che fa il poliziotto e il ladro allo stesso tempo».
R. Paterlini – «Io lavoro all’Ufficio Informazioni Turistiche della mia provincia. E poi, insegno».
R. Moliterni – «Io scrivo molto per i giornali, poi lavoro come sceneggiatore. Per diventare scrittori bisogna essere poveri e timidi».
A. Salas- Insomma, da quello che capisco, neanche l’altro lavoro è molto remunerativo. Ma cambiamo argomento. Quante storie avete cominciato a scrivere e sono invece finite nel nulla, perché non avevano un futuro?
R. Paterlini – «Storie ne sono finite molte non nel cestino, ma nella cartella delle bozze. Però alcuni personaggi, i momenti o le frasi, sono sempre tornati utili».
P. Gaglianone – Sottolineo per chi frequenta i corsi di scrittura che questa è una cosa importante: anche quello che finisce nel cestino, di fatto, serve. L’importante è scrivere. Qualcosa forse si recupera, anche di quello che si butta. Non è mai un lavoro inutile.
P1070745 (1)M. Marrocco – «Le storie in realtà non finiscono. Dei mondi narrativi, dei personaggi, nascono da una parte, poi me li ritrovo da un’altra. Non si butta via niente. Si autosalva».
R. Moliterni – «Ho iniziato a fare una selezione prima. Prima di mettermi a scrivere una storia, mi deve proprio convincere. Perché poi è come attraversare il deserto. Una volta che parti, è un viaggio lunghissimo, faticosissimo. Quindi, mi censuro prima. Poi, non sempre ci si riesce».
A. Salas – Partiamo dal principio che ogni scrittore ha sempre una sorta di minimo comune denominatore. Quasi tutte le sue storie vanno a pescare lì. C’è sempre un tema che ti prende più di un altro. Qual è, se c’è, il vostro tema ricorrente?
R. Paterlini – «Nel mio caso, il tema sono i cani randagi. Che è il titolo del mio romanzo, ma l’ho ritrovato anche in quello che sto scrivendo adesso. Una tipologia di persona che ha bisogno di essere protetta».
M. Marrocco – «Credo che se uno ha delle cose da dire può fare un comizio, o può aderire a un partito politico. La letteratura è letteratura. […] Perché se uno ha da dire qualcosa sul destino dell’umanità, fonda una religione. Non deve scrivere un libro. Ci deve essere qualcosa di puramente letterario. E, passatemi il temine, artistico. La narrazione dovrebbe essere un po’ più jazz. Vedo dei film che sono strutturati male, però hanno della poesia, e altri che sono strutturati benissimo e non hanno niente da dire. I mie libri sono questo tentativo».
R. Moliterni – «Ho faticato molto per trovare il tema del mio primo romanzo. Non so, se mi invitate tra dieci, quindici anni, forse avrò la risposta a questa domanda. Però diciamo che una struttura ti serve per esprimere un tema. Poi, quella struttura la puoi nascondere, cancellare. Però, è una guida per mettere ordine ai fatti del mondo».
P. Gaglianone – Qualunque sia la struttura, quello che conta è la ricerca di senso. Io temo molto gli innovativi per forza. O quelli che orecchiano gli americani, perché sono più “trendy”. Scrivere non è altro che creare un mondo immaginario, con una finalità. Scriveva Luigi Malerba: «Ogni romanzo è la risposta a una domanda». La nostra speranza è quella di introdurre i vincitori nel mondo della narrativa e della letteratura. Quindi, vi chiedo: che cosa è successo dopo la vittoria del premio La Giara?
R. Paterlini – «Per me è stato un grande incoraggiamento. Avevo scritto il romanzo a ventotto anni. Non avevo mai scritto. Mancavano due, tre righe per mettere la parola fine, ma avevo paura di finirlo. Dopo il premio mi è tornata una grandissima voglia di scrivere e di continuare».
M. Marrocco – «Il dopo premio è un po’ come il dopo sbronza. Però, è stato un incentivo a studiare. Non a scrivere immediatamente. Ed è quello che sto ancora facendo. Sto cercando di capire un po’ di più la scrittura. Poi quando scrivo cerco di dimenticare, sennò si diventa pesanti. Invece bisogna essere leggeri, fluidi quando scrivi».
Il libro di Roberto Moliterni, invece, deve ancora uscire. Come ti stai preparando?
R. Moliterni – «Faccio palestra tutti i giorni».
P. Gaglianone – L’ultima domanda: come è stata l’esperienza di editing?
R. Paterlini – «Per me è stato bellissimo».
M. Marrocco – «Visto che era la prima volta, all’inizio ho avuto delle resistenze. E invece, ho capito che non bisogna innamorarsi troppo del proprio modo di vedere le cose».
R. Moliterni – «Un po’ come avere i ladri in casa. Però, poi credo che la scrittura sia una forma un po’ collettiva, quindi il confronto è fondamentale sia per prendere le misure, quindi per capire come la cosa verrà percepita quando verrà letta, sia per capire se ci sono delle difficoltà, soprattutto per chi non ha esperienza e non è del mestiere».
Siamo alla quarta edizione del Premio letterario Rai La Giara per giovani autori al di sotto dei 39 anni. Il 31 dicembre scade il termine per la consegna dei manoscritti. Tra qualche settimana, dunque, avrà inizio la nuova avventura. Chi sarà il prossimo elettricista mancato?
Per informazioni su premio La Giara: www.premioletterariolagiara.it

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