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Rosso ragù e rosso vulcano. L’alfabeto del colore secondo Treccagnoli

di Lidia Monda
Venghino, venghino, Signore e Signori, venghino allo spettacolo di arte varia d’uno innamorato di Napoli. Pietro Treccagnoli, giornalista giocoliere, e la magia delle sue parole confezionate per l’occasione.
Ieri pomeriggio all’Intragallery, galleria d’arte contemporanea nel cuore di Chiaia, si è tenuta la seconda delle cinque “conversazioni cromatiche”, ideate e organizzate dallo spirito sempre vivace e attento di Benedetta de Falco.
L’idea, nuova e interessante, è quella di offrire una prospettiva finalmente diversa per chi volesse volgere lo sguardo su Napoli. Un confronto fra cinque intellettuali partendo da un’insolita chiave di lettura: il colore.

photo by Sergio Siano
photo by Sergio Siano

 Il percorso, inaugurato a dicembre dal filosofo Aldo Masullo con il giallo tufaceo delle ginestre e il bianco vestito di Pulcinella, proseguirà poi nei prossimi mesi con l’intervento dello scrittore e critico letterario Francesco Durante, del ex ministro alla cultura Massimo Bray, e dello scrittore Maurizio de Giovanni. Ieri pomeriggio è invece toccato al giornalista Pietro Treccagnoli farci osservare la città sotto una lente d’ingrandimento dal colore primario: il rosso.

Rosso. Fuoco, passione, forza. Ma anche rosso magenta, a lui caro, quello della quadricromia dei rotocalchi. Lo sguardo di Treccagnoli parte da terre lontane per poi ripiegare nel qui e ora. In Giappone col rosso ci dipingono i bagni, assurdamente, per creare disagio, o i ristoranti, furbescamente, per stimolare l’appetito. In Italia invece e in particolare qui, a Napoli, il rosso scivola sotterraneo nelle pieghe della storia, s’insinua sotto i piedi dei napoletani, nei basoli lavici levigati dal tempo, pervade tavole imbandite e quotidianità precaria, fino a giungere all’anima, raramente paga e quasi sempre pagana.

photo by Sergio Siano
photo by Sergio Siano

 
Rosso nello stemma della città, fin dai tempi degli Aragonesi, che dalla Spagna lo piantarono qui, per talea, insieme al giallo.
Rosso nel ragù e nel pomodoro, liscio e compatto, indiscussa equipollenza tra San Gennaro e sammarzano.
Rosso nella superstizione del corno e della cabala napoletana, la Smorfia, dove il colore fa 26 e va a braccetto con Nanninella, S. Anna, cui i napoletani offrono edicole votive disseminate un po’ ovunque.
Treccagnoli riempie la sala di immagini rosse, tirando dal suo cilindro coralli e passione, numeri e storia in un crescendo caleidoscopico di ironia e fantasia.
Il gran finale è affidato ai rossi liquidi, che forgiano l’anima dei napoletani e ne intridono l’origine e la vita, sempre in bilico tra superstizione e sopravvivenza: il sangue di San Gennaro e la lava del Vesuvio.
E’ dai bagliori del sangue del Santo che i puristi indovinano presagi del futuro: se rosseggia si annunciano guerre, se nereggia flagelli mortali, se ferveggia eruzioni dal Vesuvio ed è solo quando è cum spuma che può esser considerato realmente miracoloso.
Ma il rosso è anche magma, che scorre sotto la città e la circonda, dal Vesuvio ai Campi Flegrei, impastandole l’anima di timore e fatalismo.
Il rosso e il grigio. Treccagnoli evoca Stendhal, ma ripiega sul grigio scuro della pietra vulcanica, sul quel colore di lava raffreddata che porta con sé memoria d’incandescenza.
Il rosso scorre nelle arterie della città, collegandoci tutti in un’appartenenza più dinamica delle semplici radici.
E’ il fil rouge che ci abbraccia e ci avvince, e sul quale Treccagnoli, funambolo, ieri ha volteggiato a mezz’aria, davanti a noi che lo seguivamo incuriositi a naso in su.
 
 
 

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