di Antonietta Molvetti
Tra il 1914 e il 1918 un numero non definito di Armeni, storicamente stanziati in Anatolia, furono vittime, per mano del governo ottomano, di feroci massacri, che costrinsero i decimati superstiti ad una dolorosa diaspora intorno al mondo. Ancora oggi, a cento anni da quel 24 Aprile del 1915 inizio della strage, sul primo caso di genocidio della storia moderna pesa il grave negazionismo del governo di Ankara.
Mark Twain disse: “Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe”.
Come spesso accade, anche nel caso dell’olocausto armeno, è stata la letteratura a dotare la verità del paio di scarpe necessario a incamminarsi verso la luce. Lo ha fatto attraverso una serie di romanzi coraggiosi, che hanno dato voce ai racconti di drammatiche vicissitudini personali e familiari, già a pieno titolo pagine di storia.
La Maschera della verità, di Pınar Selek, traduzione di Manuela Maddamma , uscita lo scorso aprile per le edizioni Fandango, è l’ultima in ordine cronologico, tra le opere narrative che contribuiscono a squarciare il velo di menzogne teso intorno a tale biasimevole pagina del recente passato.
Pınar Selek, sociologa e attivista nata ad Istanbul nel 1971 da famiglia progressista, con il suo romanzo La maschera della verità, ci guida, in maniera esplicita e dettagliata, alla comprensione di come in Turchia sia percepita la questione del genocidio.
Novanta pagine intense, che si aprono dichiarando la volontà di testimoniare, con le parole del cuore, la damnatio memoriae calata per ordine del governo, come una scure, sulle vicende di quelle genti.
I professori, a scuola, indottrinano gli alunni a classificare l’assassinio degli armeni come risposta inevitabile alle uccisioni perpetrate da questi ribelli. Le organizzazioni di sinistra, abituatisi anch’essi a negare la strage, l’archiviano come questione attizzata dagli imperialisti per rendere meno compatto il popolo. Gli stessi Armeni, infine, per sopravvivere, rinunciando persino ai propri nomi e camuffandosi tra i turchi, scelgono di divenire invisibili.
Con una scrittura riflessiva e vibrante Pınar Selek ricostruisce la propria presa di coscienza della presenza armena in Turchia, partendo dagli anni scolastici fino a quelli duri del carcere e ai successivi dell’amicizia con Hrant Dink, giornalista armeno assassinato nel 2007.
È Istanbul, dove furono deportati dal governo molti dei superstiti, la prima a indicarle le presenze mimetiche degli Ermeni , svelandole il segreto, ormai insostenibile, che porta su quella memoria vietata. Con la militanza politica giunge poi lo smascheramento del nazionalismo -sorta di monismo che prevale in ogni campo inquinando le possibilità di una indipendente circolazione delle idee- a suggerirle di fare conoscenza con L’Armenia.
Ogni viaggio verso la verità deve essere intrapreso. Non importa quando faticosi siano i passi e quanto dolore arrechino. Questa la lezione che sembra volerci suggerire la Selek, da anni costretta all’esilio per le sue scelte dissidenti. Sebbene il testimoniare non riporti indietro le persone scomparse, non di meno è sempre necessario indossare la maschera della verità. Produrrà in noi un’intima, benefica trasformazione che ci renderà più liberi, più felici, più forti: unica cosa che abbia reale valore.
[…] Mark Twain disse: “Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe”. Come spesso accade, anche nel caso dell’olocausto armeno, è stata la letteratura a dotare la verità del paio di scarpe necessario a incamminarsi verso la luce. Lo ha fatto attraverso una serie di romanzi coraggiosi, che hanno dato voce ai racconti di drammatiche vicissitudini personali e familiari, già a pieno titolo pagine di storia. Continua […]