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Le vite sospese

di Daniela Rossi
Sotto gli occhi di Francesco, la guardia buona
vite sospeseQualcuno scrisse che Gesù è nato a Napoli, non saprei che dire a riguardo, soprattutto alla luce di certi fatti e oscenità. Poi incontro Francesco Paolo Oreste, il poliziotto buono di Torre del Greco. E forse allora, devo dare scherzosamente ragione a De Crescenzo. Del resto con le sue parole alludeva a qualcosa di molto terreno, ed intendeva soltanto dire che a Napoli e dintorni a volte c’è una particolare bontà, che tocchi con mano. L’umanità che emerge dall’apucundria – la malinconia – e che permette a certi uomini di essere Uomini.
Ho conosciuto Francesco alla presentazione del suo ultimo libro, di cui ora non parlerò – non me ne voglia. Perché dietro ogni storia c’è sempre una seconda grande storia che urla: quella dell’autore che scrive e dei suoi occhi stanchi che parlano. Francesco è ‘na guardia, ma ‘na guardia buona‘. Se qualcuno suona al campanello dalle sue parti, in certi quartieri, si sente una voce, poi due, poi tre che echeggiano per il cortile urlando “‘a guardia, ‘a guardia”, così inizia un fuggifuggi, perché si sa, non è mai buona la guardia.
Francesco non si ferma mai. La giustizia lo insegue o meglio, lui insegue la giustizia. Lo troviamo oltre che fuori dai campanelli delle case, anche tra i campanelli delle scuole, insieme ai bambini che lui va a trovare. E certo, quando arriva è sempre il Cattivo. Poi l’humanitas fa breccia ed inizia la metamorfosi. Dalla guardia cattiva, alla guardia buona, a Francesco soltanto. Due, tre mesi di lavoro per conquistarsi la fiducia e un nome proprio.
Pure nelle scuole “gioca” a guardie e ladri, ma qui ora i ladri non sono i rapinatori, ma dei mostri senza volto. Sono le ideologie di cui i bambini sono prigionieri. L’immutabile. Il rispetto del Signore, del Padrone, delle mani sporche se ammazzano per onore, e di tutto quello che accade tra le mura. Il rispetto anche del Male marcio. Il rispetto del Silenzio, sopra ogni cosa.
I bambini di Francesco sono i bambini abusati, e violentati due volte: prima quando il fatto si compie e dopo quando il silenzio lo copre. Perché il silenzio violenta il doppio. Uno schiaffo per dritto e per rovescio. Lo scenario sotto gli occhi stanchi del poliziotto sono le violenze subite e nascoste nei cortili, tra testimoni silenti – statue – come le chiama lui. I crimini accadono tra statue e santini, sotto una coperta di religiosità sporca.
fpoFrancesco non vuole sollevare questa coperta, come si solleverebbe con impulsività e rabbia una tovaglia da un tavolo per scoperchiare i fatti, ma aprire una strada. Quando per i bambini lui diventa il poliziotto buono e amico, accade spontaneamente che gli venga chiesto il contatto su facebook o su whatsapp. Un canale di comunicazione, un flusso di notizie belle o brutte: un contatto vero. Ed è lì, lungo questo canale che il cortile si svuoterà dei suoi silenzi. Perché il silenzio è invisibile ed ingombrante insieme.
Ai bambini bisogna restituire il diritto di scelta. Un principio per nulla scontato, dalle sue parti, dove la mela marcia cade sempre vicino all’albero. Se tuo padre è un delinquente non ti è permesso di avere aspirazioni diverse. Bambini che sono abituati a vedere un solo panorama, statico, grigio. Bambini che probabilmente non sanno neanche desiderare, ancor prima di scegliere. Andare a trovarli e accucciarsi accanto a loro è la chiave del lavoro di Francesco: un accucciarsi doloroso, che ritroviamo anche nello scrittore e ci piega, pure a noi. Necessario per mostrare ai bambini una strada. Altrimenti buia. La strada dove far scivolare i desideri, dove formulare richieste. La strada che ti allena al sì e al no, anche verso il Padrone. La strada della disobbedienza o meglio dell’obbedienza all’amore di sé. Quella strada in fondo alla quale Francesco attende che le parole sgocciolino fino a lui, poco a poco: gocce che sciolgono la pietra del dolore.
Non basta essere un poliziotto per esser un poliziotto buono, non basta avere studiato legge per fare le cose giuste. C’è una zona grigia tra giustizia e legge. Il tarlo di Francesco. Qui dovrebbe agire l’uomo che serve la legge, in questa zona di nessuno. Una forbice larga, troppo larga, che forse – a suo parere – solo l’umanità può stringere. Una zona morta che spesso viene intercettata dal sistema sbagliato, per offrire, al dolore e alla vergogna degli abusi, soluzioni illusorie di salvezza.
Francesco Paolo Oreste si muove lungo una striscia di confine tra bellezza e bruttezza. Un dualismo amaro che lo insegue o forse lo salva, permettendogli di essere sempre un guaglione sorridente classe 1973, anche un poco guascone, nonostante le vicende che gli cadono addosso. La speranza non lo abbandona, è nel suo sorriso, oltre l’orrore. Un sorriso che non dimentichi e non ti spieghi, viene da quel cuore così grande in petto che non gli si chiude la giacca, proprio come ad uno dei suoi personaggi.
Sotto i suoi occhi attenti scorre il panorama di questa immagine, che oscilla tra grande bruttezza e grande bellezza. Estreme tutte e due, esageratamente estreme. La bellezza c’è per tutti, è dietro l’angolo, ma non la si acchiappa se non si cambia il sistema. Il silenzio agisce come una luce che spegne il paesaggio più bello del mondo, impietrendolo. Così si sono spenti i colori sulla foto di questo articolo per trasformarsi nella copertina del suo romanzo. Grigia. Sospesa senza tempo e senza giudizio, come i destini di queste vite.
Una copertina che va letta. Va capita. Racchiude la storia alle spalle di tutto. Il quotidiano, suo e dei suoi bambini. L’origine della sua sensibilità. L’origine della sua scrittura condensata: un pugno serrato, che quando meno te l’aspetti, si apre come sboccia un fiore…. ed è poesia, che danza tra dolore e colore. il giardino dlele s sTutto questo è “Il cortile delle statue silenti”.
Così ho chiesto a Francesco un regalo, di raccontarci cosa vedono i suoi occhi in questa immagine.
Sabbia nera, lavica, memento di tragedia, sollievo e cura per mille dolori.
In fondo, oltre l’orizzonte, la bellezza universale di Capri, nascosta dalla foschia, ma è lì, noi lo sappiamo.
A sinistra c’è Sorrento.
Ma il mare non è balneabile.
La bellezza è una maschera, dietro c’è il marcio di decenni di ruberie incoscienti e criminali.
La bellezza è un’utopia, un inganno.
Allora va benissimo che il mare sia agitato e che il cielo sia grigio, almeno l’inganno è meno vigliacco, almeno così non mi sembra di essere l’unico incazzato e in pena.
E poi un filo e le vite sospese di chi ha conosciuto l’orrore e non è più uscito. O che l’ha nascosto dietro una maschera, o in fondo al mare.
Ma il mare è il mare, ed è rifugio, ed è accoglienza, ed è speranza, ed è così infinitamente tutto che difronte al mare, ogni pena, anche la più grande, è meno infinita.
Forse.”

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