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56 Biennale di Venezia e dintorni

di Caterina Ferruzzi
La 56° Biennale d’Arte non si esaurisce nelle sedi di Arsenale e Giardini, ma è viva e presente in tutta la città. E’ impossibile non imbattersi, durante una passeggiata per Venezia, in una delle tante sedi che ospitano padiglioni ed eventi collaterali. Spesso sono esposizioni in cui a prevalere non sono tanto le opere esposte, ma le location prescelte a contenerle.
Una di queste è sicuramente la sede del conservatorio “Benedetto Marcello” ovvero Palazzo Pisani, appena dietro Campo Santo Stefano.
Qui un paio di sale affrescate e sontuose ospitano il Padiglione dell’Angola che vede protagonisti gli artisti Antonio Ole (che è anche il curatore della mostra), Binelde Hyrcan, Délio Jasse, Francisco Vidal e Nelo Teixeira.

Padiglione dell'Angola
Padiglione dell’Angola

“On ways of travelling” ospita le opere degli artisti sopra citati. Un mix di tecniche multidisciplinari che sono frutto di una ricerca nei diversi campi in cui può esprimersi l’arte, ma anche di un interesse comune. Al centro della sala principale troviamo l’opera di Antonio Ole, pittore, film maker e fotografo i cui lavori solitamente si concentrano sui temi della colonizzazione, della guerra civile, dei conflitti sociali e sulla capacità umana alla resistenza e alla sopravvivenza. Un’opera che colpisce per le sue forme e per i materiali utilizzati (tessuto, ferro,legno e luce).
I robot di Neilo Teixeira, tra pittura e scultura, certo non restano inosservati. Le tecniche legate al mondo delle maschere non solo sono state ereditate dalla sua famiglia, ma vengono anche tramandate alle giovani generazioni.
Interessanti le opere di Délio Jasse che, tra pittura e fotografia, sperimenta le diverse tecniche, realizzando dei lavori originali che trovano qui collocazione sul pavimento del salone centrale.
Binelde Hyrcan è cresciuto con immagini di guerra davanti agli occhi ogni giorno e facendo i conti con le reali conseguenze delle decisioni politiche. Le sue opere utilizzano le tecniche più varie: pittura, scultura, progettazione, video arte e performance. Anche il lavoro che presenta, e che domina la parete di fondo in questa esposizione, bene rappresenta quindi il suo mondo.
Entrando presso l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dove è ospitato il Padiglione del Portogallo, è quasi impossibile riuscire a separare completamente l’esposizione con l’ambiente in cui essa si trova, perché perfettamente integrata.
Sei sale ciascuna con un’opera interessante e carica di significato. “You’ll be my mirror” è il titolo che João Louro ha voluto dare a questa mostra e che riprende le parole di un brano dei Velvet Underground. Tra le opere più interessanti la serie di Blind Images in cui lo spettatore si trova davanti ad una tela in cui le immagini sono state cancellate. Vi rimane solo il titolo di ciò che vi era raffigurato. Un lavoro il cui significato vuole essere la distanza tra le parole e le immagini che a detta dell’artista non è così enorme come invece tra parole ed oggetti o tra cultura e natura.
Nella mia visita mi è rimasta impressa in particolare una scala che sembra facente parte dell’antica biblioteca, ma che in realtà è un’opera di Louro. Se si nota bene la scala non ha la funzione che dovrebbe in quanto l’artista ne ha reso impossibile l’uso. Al pari delle Blind Images però, con l’inserimento in questo caso di uno specchio, si permette allo spettatore di riflettervisi e quindi tornare protagonista.
Infine “Land Sea” l’esposizione di Sean Scully che occupa un luogo quasi magico, Palazzo Falier.
Palazzo Falier
Palazzo Falier

Se avete attraversato il Canal Grande sicuramente l’occhio si sarà inevitabilmente posato su un edificio dal sapore antico quanto romantico evocato dalle sue verandine con vetrate in vetro piombato.
Si arriva attraverso una stretta calle all’ ingresso che ci permette di entrare in un delizioso cortile che per un attimo ci fa catapultare in un passato che non c’è più, ma che lì è presente e vivo.
All’interno del palazzo, a cui si accede attraverso una graziosa scalinata, troviamo esposte le opere dell’irlandese Sean Scully. Molti dei lavori sono stati realizzati appositamente per questa mostra, curata da Danile Eccher (Direttore della GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino).
La liquidità della sua pittura di Scully ci ricorda non solo il mare, ma ovviamente anche la città d’acqua in cui ci si trova, Venezia. Dice infatti l’artista “Nel realizzare questi dipinti ero concentrato sui miei ricordi di Venezia, il movimento dell’acqua col suo battere contro i mattoni e pietre della città. Quando sono nel mio studio a sud di Monaco di Baviera spesso prendo l’auto e guido per alcune ore fino a Venezia. Ed era con le impressioni raccolte durante tali viaggi che tornavo nello studio. Riportavo i miei ricordi di Venezia nelle opere che dipingevo”.
Una mostra in cui il protagonista è il colore e le opere si rifanno alla tradizione della pittura veneziana, dal luminismo di Tintoretto al tonalismo di Bellini, passando per la materialità cromatica di Tiziano, ma pur sempre guardando al concettualismo contemporaneo.
Tre mostre, tre luoghi. Tutti da scoprire. Anche questa è la Biennale d’Arte di Venezia.
 

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