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La Curia, il Codice e la Vinci. La rete si schiera al fianco della scrittrice

di Antonietta Molvetti
Lei si chiama Simona Vinci. E’ una talentuosa scrittrice italiana con all’attivo numerosi romanzi, di cui alcuni vincitori di importanti premi letterari. Vive in provincia di Bologna, a Budrio. E’ rimasta lontana dalle cronache fino ad oggi, quando la diocesi di Bologna ha cominciato ad occuparsi di lei. Foto dal profilo Fb  di Vinci
Martedì scorso, dopo una lunga e rodata convivenza, la Vinci, già madre di un bambino piccolo, convola con il compagno a giuste nozze presso la casa comunale del suo paese.
Nulla di strano, ordinaria vicenda personale, se non fosse che la Vinci, a margine della cerimonia, sulla pagina del suo profilo di Facebook manifesta, senza peli sulla lingua, la propria avversione verso il matrimonio, dichiarando di essersi sposata per una scelta obbligata, per tutelare, cioè, la salute e i diritti dei figli, oltre che dei conviventi. E’ lo Stato ad imporre, secondo la Vinci, il ricorso allo strumento contrattuale del matrimonio, fuori dal quale la vita “burocratica” si complica molto.
Così –per dirla con De Andrè- “come una vecchia mai stata moglie” la Diocesi bolognese “si è presa la briga e di certo il gusto di dare il consiglio giusto” alle istituzioni civili, suggerendo loro di dichiarare il matrimonio nullo, in quanto frutto di una simulazione. Secondo quando si legge in un articolo a firma di Paola Cipolla (giudice del tribunale ecclesiastico) pubblicato sul settimanale diocesano “Bologna sette, “decidere di sposarsi solo perché così si ottengono diritti e benefici che diversamente, non si avrebbero secondo la legislazione vigente” ridurrebbe il matrimonio ad “un pro-forma, una farsa, una simulazione”.
Pronta la risposta del sindaco celebrante Giulio Pierini, che esclude la sussistenza di motivi di nullità. Egli si dichiara, nelle sue qualità istituzionali, incompetente a valutare le ragioni per cui una coppia si sposi, giacché non rientra nei suoi compiti ne’ scandagliarne i progetti di vita ne’ tanto più metterne in discussione i sentimenti e l’affetto. Replica che ci pare in perfetta linea con le norme che regolano il matrimonio, primo tra tutti l’art. 143 del c.c. Nel dispone che con il matrimonio il marito e la moglie acquistino gli stessi diritti e assumano i medesimi doveri, infatti, il legislatore non accenna minimamente alla necessità che sussista  un sentimento d’amore tre le parti.
Se anche osservazione non fosse sufficiente a gettare acqua sul fuoco, sarebbe forse utile  un ripasso dell’art. 7 della Costituzione, laddove si prescrive che” Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
Come a dire :- dei matrimoni tuoi se ne occupi Dio, che dei miei me ne occupo io!”

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