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L'anno della 'misera corda'

di Kristine Maria Rapino
Roma, esterno giorno. E per un attimo, riesco ad allontanarmi dalla provincia. Ho alcune persone da incontrare, delle commissioni da sbrigare. Mi decido. Compro il biglietto e vado. Andata e ritorno. Due ore e mezzo di autobus. E sono lì. Nella città eterna.
RV5590_ArticoloÈ tutto pronto, o quasi. L’8 dicembre inizierà il giubileo straordinario. Il grande evento della cristianità, incentrato su Gesù: il volto misericordioso. In piedi, una tunica bianca. Una mano al cielo e l’altra sul cuore. Non ci sono ancora grossi preparativi in città, se non nei negozi di articoli religiosi. Santini, poster e calendari stampigliati apposta per l’occasione: anno santo della misericordia.  Papa Francesco con la testa dondolante, come i cani da cappelliera. Luci, odore di kebab, aste per selfie a ogni angolo di strada. Manca ancora un mese. Poi il perdonificio aprirà i battenti. Ma la quiete è già sgangherata, la quotidianità sfibrata. L’urbe di nuovo sotto l’assalto di militari e penitenti, gli uni col mitra, gli altri col rosario. Armi potentissime.
C’è traffico, più del solito. La metro è chiusa. Un incidente, un guasto ai freni. Mi sposto con l’autobus di linea. Mi piace vedere la città scorrermi attraverso. Penso addirittura che vivere da pendolare abbia i suoi vantaggi. Ti siedi. Il sedile è sporco e un po’ duro, ma pazienza. Trascorri il tuo tempo a leggere un libro. Lo stesso che da mesi trascini tra la mensola del bagno e il comodino. Oppure ascolti i discorsi degli altri. Non perché tu sia un’impicciona, no. Ti dichiari da sempre aperta all’ascolto. La signora anziana davanti a te sta raccontando a una sconosciuta la storia della sua vita. La figlia divoziata. La crisi. Gli studenti del piano di sopra, che in cinquanta metri quadri vivono in sette. I nipoti che non trovano lavoro. L’intervento alla colecisti. Lo pensi, che alla persona seduta accanto non interessa niente. Come non interessa a te, del resto. Ma poverina. Almeno voi la ascoltate.
url_zps870917bfGuardi fuori dal finestrino. È freddo. Il vento spazzola gli alberi, asseconda i capricci del lungotevere. Una folata di sguardi s’incolla al vetro. Sono giapponesi. Turisti. Pensi che fotograferanno anche te. Sorridi all’idea d’infilarti nella loro vita. Poi guardi dentro. Nell’autobus. Sei abituata. Sai cosa vedrai. Gente pressata, accatastata l’una sull’altra. In piedi, seduti, appoggiati. Un turbinare di teste, cuffiette, colpi di tosse. Ma questa volta no. Questa volta davanti a te c’è una ragazza, bionda. Si preme sulla bocca un fazzoletto. Pensi a un’ipocondriaca, una che vede i germi dappertutto. Ma ce n’è un’altra accanto a lei. Stesso gesto. È solo allora che la vedi.
Al centro dell’autobus, c’è una donna. Ti mostra le spalle. Sola. Accanto, il vuoto. Silhouette invisibili le hanno fatto capannello intorno. In testa ha un cappello da pescatore, calato sugli occhi. È vestita di nero. Uno spolverino, non troppo pesante. A stringerlo è una corda. Misera, essenziale. Ma ciò che la rende diversa dagli altri è un’altra cosa: la puzza.
misera cordaLa signora anziana perde il filo del discorso. Interrompe la biografia. Qualcuno le ha rubato la scena. La guarda. Un’occhiata zoppa, ruvida. Poi, una grandinata di parole  in guazzetto romanesco: “Er pesce s’è fracicato. Lavate! Scenni che ce stanno l’amici tua, li cassonetti. Così te ce butti dentro!” E via libera all’insulto. Tutti, giovani e vecchi, dicono la loro. Per tutto il tragitto, parole affilate come lame, a sconquassare l’aria, a rimbalzare contro quel muro di carne. Immobile. Dignitoso. Eterno come la città che lo attraversava.
Ed è così che mi sono ritrovata io. Cattolica praticante. Snudata. Annientata dal gatto morto lasciato macerare al centro della carreggiata, sotto gli occhi di tutti. Senza fare niente. Senza intervenire. Penso alle anime brillanti. Penso ai senza fissa dimora, alle pecore sbrancate. Penso a Chiara Amirante, che da ragazza, alla stazione Termini, li andava ad abbracciare, uno per uno. Penso alle frontiere chiuse e a quanto debbano puzzare quei migranti che hanno lasciato casa loro e non si lavano da giorni. Penso a Papa Francesco con la testa dondolante, alla crisi, agli studenti che in cinquanta metri quadri vivono in sette. Penso a quella barbona che con quella corda ci tiene stretta la vita. Non la usa per lasciarla andare.
gesu3Poi la guardo meglio. Lei, i santini, i calendari, i poster stampigliati. Di nuovo lei. E in quel momento capisco. E sorrido. Perché non ci avevamo pensato, né io, né gli altri. Eppure la protagonista sarà lei, non noi. Tra non molto, il red carpet sarà suo. Dall’8 dicembre: anno santo della miseracorda. Nessun errore di stampa. Solo una mano in cielo e l’altra sul cuore.
Mi piace pensare che stavolta sarà così.

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