Segnala un evento
HomeCultura&Spettacolo“Ave, Cesare!”, l'ultimo gioiello dei Coen Bros: quando la vita è una...

“Ave, Cesare!”, l'ultimo gioiello dei Coen Bros: quando la vita è una metafora del cinema

Ancor prima di esilarare pensosamente gli spettatori, stavolta i Coen Bros si sono davvero divertiti in proprio, a girare un lungometraggio che contenesse quasi tutte le possibilità di genere in voga negli anni Cinquanta: dal poliziesco al western, dal musicarello all’acquatico, dalla screwball comedy alla farsa, fino alla satira sul cinema stesso.

 Il peplum Ave, Cesare!, va da sé, è il semplice perno narratologico, un film nel film che vede il protagonista Baird Whitlock (un George Clooney esemplare nell’autoironia) sequestrato da un gruppo di sceneggiatori comunisti, guidati da un torvo Herbert Marcuse, sul finire delle riprese del kolossal. Toccherà allo spicciafaccende Eddie Mannix (Josh Brolin, altro attore caro ai Bros) sbrogliare il groviglio, tra una grana e l’altra negli studios hollywoodiani dove si sovrappongono i lavori dell’industria delle illusioni.

Amaro come sempre, nell’opera intera dei Coen, il retrogusto di caducità del tutto, rispetto alla piccolezza dei grandi e alla fallacia di ognuno; ritornano i temi incombenti del male e della colpa, esemplificati in un rituale che apre e chiude il film. Come sempre, la divinità assente è comunque il motore immobile delle storie e della Storia, misura incommensurabile del tutto. In questa piccola enciclopedia della vita come metafora del cinema, godono di un cameo perfino Christopher Lambert e Dolph Lundgren, rispettivamente regista di musical e comandante di un sottomarino sovietico. Ma sono le donne a illuminare la pellicola, da Scarlett Johansson a una Tilda Swinton doppelgaenger di se stessa, fino a Frances McDormand, moglie di Joel Coen, che dopo l’Oscar per “Fargo” aveva detto «Sono l’attrice che è dovuta andare a letto più di tutte con un regista per avere una parte».
La storia principale è sopraffatta dall’alberatura manieristica delle vicende collaterali, che ne contrappuntano e determinano lo svolgersi. Lo stile dei fratelli di Minneapolis non si smentisce: dietro ogni battuta riuscita c’è lo sgomento, ogni riflessione morale viene addolcita dallo zucchero a velo di uno humour ebraico senza alcuna fiducia in un Dio che risalta per il suo vuoto. Nessuno è innocente, neppure i registi: si ride, per esorcizzare la paura.
di Elena Orsini



 

SCRIVI UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome

- Advertisment -

più popolari