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Cannes 2016, Palma d'oro al regista ribelle Ken Loach

Vince a sorpresa a Cannes il film impegnato I, Daniel Blake di Ken Loach.  L’ultima fatica del regista inglese, noto per gli schietti toni politici, è un atto di accusa alla burocrazia kafkiana della previdenza sociale che si accanisce contro un working class hero. Questa è la pellicola che si è aggiudicata la Palma d’Oro della sessantanovesima edizione del Festival di Cannes, con giuria presieduta da George Miller. Loach ne aveva vinta un’altra già nel 2006 per Il vento che accarezza l’erba, dedicato alla guerra d’indipendenza irlandese. Consegnato il riconoscimento da Mel Gibson, il cineasta ha ringraziato i lavoratori che rendono possibile il festival dietro le quinte. E Ken “il Rosso” ha attaccato neo-liberismo e austerity, “idee che rischiano di portarci alla catastrofe”, senza tralasciare un messaggio di speranza: “per fortuna ci sono milioni che ancora lottano e “dobbiamo affermare che un altro mondo è ancora possibile e necessario”, ha concluso tra gli applausi.
Il Grand Prix speciale è andato invece al promettente e giovanissimo canadese Xavier Dolan per il poetico e struggente Juste la fin du monde. Il premio della giuria ancora una volta alla cineasta inglese Andrea Arnold – che già se l’era aggiudicato nel 2006 e nel 2009 – per il road movie American Honey.
Migliori registi, ex aequo, il francese Oliver Assayas per il thriller Personal Shopper e il rumeno Cristian Mungiu per lo psicologico Bacalaureat. Migliore sceneggiatura per Le Client (Forushande) all’iraniano Asghar Farhadi, già omaggiato con Orso d’Oro e Oscar per Una separazione. Nell’ultimo film la rappresentazione di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller scorre in parallelo al dramma familiare cui ci ha abituato Farhadi. Il protagonista Shahab Hosseini si è aggiudicato anche il premio come miglior attore. Migliore attrice invece la verace matriarca filippina Jaclyn Jose per il simil-neorealista Ma’ Rosa di Brillante Mendoza, quest’ultima premio alla regia di Cannes 2009. Camera d’Or a Divines, l’opera prima della francese di origine marocchina Houda Benyamina, acclamato come nuovo manifesto del disagio delle banlieue. Da segnalare la Palma d’Oro per il cortometraggio allo spagnolo Juanjo Giménez per TimeCode e il Premio d’onore a Jean-Pierre Léaud, noto attore francese che ha interpretato tra gli innumerevoli ruoli il bambino ribelle de I quattrocento colpi di François Truffaut.
Questa edizione del festival non ha mancato però di attirare critiche per il palmarès, con divergenze tra giuria, pubblico e stampa accreditata. La scelta di premiare (ancora) Loach per un bel film solido ma “solito” è stata giudicata da alcuni poco innovativa, soprattutto rispetto ad astri nascenti come il rampante Dolan. Tra i grandi esclusi Paul Verhoeven, regista poliedrico che ha spaziato da RoboCop a Basic Instinct e che ha regalato al festival uno straniante e feroce Elle, con la grandiosa Isabelle Huppert. Tornano a casa con la bocca asciutta anche gli italiani Stefano Mordini di Pericle il Nero (e Riccardo Scamarcio che lo interpretava), Paolo Virzì con lo straripante La pazza gioia, Claudio Giovannesi con Fiore, Fai bei sogni di Marco Bellocchio. Mentre Ken Loach si gode quello che suona come un riconoscimento alla carriera.

 
di Valentino Salvatore

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