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Se Wikileaks svela gli altarini sulle politiche ambientali


Julian Assange
Julian Assange (AFP PHOTO/Leon Neal)

Di Francesca Lippi
Scoop mondiale e tam-tam telematico. Wikileaks ha sconvolto l’intero pianeta al punto che il Ministro Frattini ha parlato di “11 settembre della diplomazia”. Ma mentre gli sguardi sono ancora rivolti ai rapporti fra i Paesi e allo spionaggio dell’America nei confronti del governo italiano, in questi giorni è viva la questione ambientale fallita a Copenhagen l’anno scorso. Proprio a ridosso del vertice di Cancun in Messico (dove fino al 10 dicembre i delegati di circa 194 nazioni si incontrano per la Convenzione delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici), l’amministrazione Obama fa l’ennesima brutta figura: a quanto risulta dalla lettura dei documenti fatti circolare da Assange, l’attuale governo statunitense appare prono alle speculazioni e ai poteri forti del petrolio. Promettendo denaro e minacciando ritorsioni gli Usa riuscirono infatti a convincere ben 140 Stati ad aderire all’accordo.
Cosa accadde a Copenhagen
Il sito Wikileaks svela una serie di cablogrammi dell’amministrazione Obama dai quali risulterebbe che il vertice di Copenhagen sarebbe stato manipolato dalla diplomazia statunitense, e che il presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, era scettico fin dal dicembre scorso sul risultato dell’attuale vertice in corso a Cancun. Dai file emerge che l’amministrazione americana mobilitò tutte le sue forze per convincere gli Stati a sottoscrivere un accordo “minore” che potesse soddisfare le esigenze dell’economia statunitense consentendo ad Obama di riportare comunque un risultato anche se completamente diverso da quello promesso inizialmente. Il vertice infatti si chiuse con l’impegno di Europa, Cina e Usa per una generica intesa di principio, senza impegni o obblighi vincolanti per nessuno. L’accordo di Copenhagen, infatti, non è altro che un testo che lascia agli Stati aderenti piena autonomia nel perseguire non definiti obiettivi di riduzione delle emissioni, rappresentando addirittura un ostacolo per un accordo realmente efficace sul clima.
I documenti diplomatici pubblicati da Wikilieaks svelano così gli altarini del vertice ambientalista svoltosi nella capitale danese. A fare il buono e il cattivo tempo sono sempre gli interessi economici. Per evitare che centinaia di miliardi di dollari passassero di mano, era necessario evitare il raggiungimento di un accordo internazionale per sostituire l’attuale economia del petrolio con una a basse emissioni di Co2. I file resi pubblici da Wikileaks raccontano di un messaggio inviato il 31 luglio 2009 dal Dipartimento di Stato americano, con il quale si richiede ai diplomatici statunitensi di fornire  “human intelligence” su Austria, Burkina Faso, Cina, Costa Rica, Croazia, Francia, Giappone, Libia, Mexico, Russia, Turchia, Uganda, Vietnam, Unione Europea e Nazioni Unite.
A sua volta, però, dalla documentazione emerge che prima ancora (il 19 giugno dello stesso anno) avveniva un tentativo di phishing attraverso l’invio di ben cinque e-mail infette con lo scopo di ottenere informazioni riservate. Questo accadeva proprio mentre erano in corso i colloqui tra Todd Stern -inviato americano per il clima- e la sua controparte cinese.
A quanto risulta il Dipartimento di Stato decise una operazione di supporto garantendo aiuti economici per le nazioni più povere.  A supporto dell’informazione risulta che il 23 febbraio 2010 l’ambasciatore delle Maldive negli Usa domandava “tangibile assistenza” proponendo progetti per 50 milioni di dollari. Gli Stati Uniti a questo punto coinvolgono anche l’Unione Europea. In un messaggio inviato dall’ambasciata americana a La Paz il 9 febbraio si legge che l’ambasciatore danese in Bolivia, Morten Elkjaer avrebbe detto ad un collega americano che al vertice di Copenaghen “il primo ministro danese Rasmussen, abbia speso una buona mezz’ora con il presidente boliviano Morales nella quale questi lo ringraziava per gli aiuti bilaterali  (30 milioni di dollari all’anno) ma si rifiutava di cambiare posizione sul clima”.
In un incontro del 12 febbraio tra il vice inviato speciale americano per il clima Jonathan Pershing e il commissario per il clima dell’Ue, Connie Hedegaard, questa ultima affermò che proprio gli stati-isola più vulnerabili al cambiamento climatico “possono essere i nostri migliori alleati, vista la loro grande necessità di fondi”.  Questa sperava poi “che gli Stati Uniti comprendessero che l’Ue stava riducendo le sue critiche verso gli Stati Uniti, cercando di essere costruttiva”.
Organizzazioni non governative: svelati i tatticismi
E intanto a Cancun le Ong sono infastidite per le rivelazioni di Wikileaks. “Siamo in un momento molto delicato del negoziato”, dice Alberto Zoratti, rappresentante dell’organizzazione equosolidale italiana Fair che segue i negoziati come Ong osservatrice accreditata al Vertice Onu. “Le manovre in corso ricordano i momenti più bui della Conferenza di Copenhagen, quando pochi Paesi si arrogarono il diritto di decidere per tutti”. Le Ong puntano il dito verso un gruppo di Paesi industrializzati come il Canada, la Russia ed il Giappone, rei di affossare definitivamente il Protocollo di Kyoto in favore di un accordo meno vincolante.
“Il Governo messicano starebbe preparando una bozza di dichiarazione finale che possa dare nuova linfa all’Accordo di Copenhagen trasformandolo nell’Accordo di Cancun”, rivela Zoratti . Si tratterebbe di un passaggio rischioso per il percorso multilaterale della Conferenza, con una nuova forzatura da parte di quei pochi Paesi che rifiutano un accordo vincolante preferendo uno schema volontario e difficilmente verificabile. “La posta in gioco è troppo alta per essere sacrificata a tatticismi di bassa lega”, conclude Zoratti. “C’è incapacità di contrastare un clima che cambia velocemente, con impatti pesanti sulle economie del Sud del mondo, dove molte piccole comunità umane stanno vivendo situazioni al limite del tollerabile, come ci viene continuamente riferito dai partner dei nostri progetti equosolidali di Bangladesh, India ed America Latina. Noi diciamo basta, serve una svolta e faremo di tutto per salvare il negoziato, perché sia vincolante e davvero risolutivo”.

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