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La Storia non scritta del Concilio Vaticano II

di Lorenzo Stella
Nella storia della Chiesa si sono tenuti ventuno Concili riconosciuti come ecumenici, o generali. Dal Concilio di Nicea, fino al Vaticano II, ognuno di questi eventi non solo ha “fatto la storia”, ma è stato oggetto di dibattito storiografico. L’ultimo è stato aperto a Roma nella Basilica di San Pietro, da Giovanni XXIII, l’11 ottobre 1962, e chiuso nello stesso luogo, dopo quattro sessioni, da Paolo VI, l’8 dicembre 1965.
L’ultimo lavoro di Roberto de Mattei, docente di Storia della Chiesa all’Università Europea di Roma e Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha per titolo “Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta” (editore Lindau).
“A differenza dei precedenti, il Vaticano II invece non ha emanato leggi e neppure ha deliberato in modo definitivo su questioni di fede e di morale”, spiega l’autore.
La discussione sul Concilio invece può ricondursi sostanzialmente a due linee interpretative: quella della “continuità” e quella della sua “discontinuità” con la tradizione precedente. secondo La prima deve essere letto in continuità con i documenti che lo hanno preceduto e che lo hanno seguito, “alla luce della Tradizione”.
La seconda linea ha un approccio non teologico, ma storico e trova la sua espressione più significativa nella cosiddetta “scuola di Bologna”, sotto la direzione del prof. Giuseppe Alberigo. Secondo questa scuola il Vaticano II, al di là dei documenti che ha prodotto, è innanzitutto un “evento” storico che, in quanto tale, ha apportato un’innegabile discontinuità con il passato: ha suscitato speranze, ha innescato polemiche e discussioni, ha aperto, in ultima analisi, un’epoca nuova. Tale tesi viene sostenuta anche “da destra”, dai cattolici tradizionalisti, raccogliendo un ventaglio di voci ampio ma disomogeneo in cui l’opera più importante è quella del prof. Romano Amerio, Iota Unum.

Roberto de Mattei

In questo quadro, il libro distingue accuratamente, pur naturalmente non volendole “separare”, tra la dimensione teologica che emerge dai testi e quella più propriamente “fattuale”, che si riferisce alle vicende storiche. De Mattei si pone comunque con chiarezza a favore della discontinuità: “il Vaticano II, infatti, fu un evento che non si concluse con la sua solenne sessione finale, ma si saldò con la sua applicazione storica”, afferma lo storico, secondo cui la formula del Concilio alla luce della Tradizione, la cosiddetta “ermeneutica della continuità”, offre indubbiamente un’autorevole indicazione per chiarire il problema della giusta ricezione dei testi conciliari, ma lascia aperto un problema di fondo: perché dopo il Vaticano II è accaduto ciò che mai avvenne all’indomani di nessun Concilio della storia, e cioè che due (o più) ermeneutiche contrarie si siano trovate a confronto e abbiano, per usare le parole dello stesso Papa, “litigato” tra di loro?
“I risultati che hanno seguito il Concilio – affermò del resto l’allora Cardinale Ratzinger – sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI. I cristiani sono di nuovo minoranza, più di quanto lo siano mai stati dalla fine dell’antichità. I Papi e i Padri conciliari si aspettavano una nuova unità cattolica, e si è invece andati incontro ad un dissenso che (per usare le parole di Paolo VI) è sembrato passare dall’autocritica all’autodistruzione. La Chiesa del dopo Concilio è un grande cantiere; ma è un cantiere dove è andato perduto il progetto e ciascuno continua a fabbricare secondo il suo gusto”.
In sostanza, quindi, il libro di De Mattei assesta una ‘poderosa picconata’ alla storiografia conciliare come storia “da riscrivere, o almeno da completare”.

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