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Roma, un secolo di clic in cronaca

Di Mariano Colla

Un po’ sottotono, e a margine  di altri importanti eventi culturali dell’autunno romano,  il Museo di Roma in Trastevere ospita dal 18 novembre al 10 gennaio la mostra “un secolo di clic in cronaca di Roma”. E’ una mostra organizzata dal Sindacato cronisti romani, con il patrocinio del Sindaco Alemanno e di Cinecittà Luce. L’esposizione fornisce  una carrellata multimediale in foto, filmati e documentari audiovisivi di eventi degli ultimi 100 anni della vita della capitale, episodi importanti e comuni immortalati, in particolare, da 130 fotografie scattate da fotoreporter d’assalto e da fotografi ufficiali, presenti alle manifestazioni più significative della città. L’Istituto Luce fornisce filmati d’epoca che ripropongono gli aspetti salienti di una società che non c’è più. I documenti fotografici dal 1910 al 1940 ritraggono i segni, evidenti, della trasformazione culturale e urbanistica subiti da Roma, dall’unità di Italia sino all’apogeo fascista.

Testimone irripetibile di questo periodo, e inventore del fotogiornalismo moderno è stato Adolfo Porry-Pastorel. Si vedono ancora i tratti di una Roma sparita, quasi ad evocare gli acquerelli di  Ettore Roesler Franz, nell’opera “Roma pittoresca – Memorie di un’era che passa”. Il tessuto urbano e le attività quotidiane sono ancora permeate da una cultura contadina più che metropolitana, laddove eventuali stravaganze meritano l’attenzione del fotografo. Le foto di un motociclista che scende la scalinata di trinità dei Monti, di ragazze in  cappellino e bermuda  sulla spiaggia di Anzio, delle carrozze degli  ambasciatori in feluca in Piazza del Quirinale, del gran ballo a Termini in onore dei superstiti della Tenda Rossa, della benedizione del cavallo nel giorno della festa degli animali, della  festa dell’uva alle pendici del Pincio, dell’estrazione dei buoni novennali del tesoro in Piazza del Popolo, tracciano in modo estremamente realistico il volto di una città tra le due guerre, alla ricerca di una nuova identità popolare, oltre che nazionale a cui contribuisce la retorica fotografica del regime fascista.

E’ curioso notare che proprio in quegli anni Mussolini ordina la smobilitazione della cronaca nera, niente più notizie sui fattacci, suicidi, tragedie passionali e familiari, violenze  e stupri contro i minori e costringe  giornali  e fotografi ad esaltare le opere del regime. La fotografia si scatena nella propaganda, nell’immortalare il Duce e il popolo di Roma a lui devoto, in ogni manifestazione, dalle prime picconate per aprire la Via dei Fori Imperiali all’inaugurazione delle mostra del futurismo con Marinetti. Qualche burlone potrebbe evocare la politica del regime nei confronti dei “media” come soluzione all’imbarbarimento moderno dell’informazione e al suo ruolo invasivo e petulante, soprattutto sui temi che “LUI” aveva abolito, e mi riferisco, tanto per citare alcuni esempi recenti, all’esposizione mediatica a cui siamo stati sottoposti sul delitto di Cogne piuttosto che su Avetrana o sui rapimenti della piccola Denise e, oggi, di Yara.

Le foto di una Roma in guerra, con la raccolta della lana dai materassi per le truppe al fronte e la trebbiatura del grano in Piazza del Popolo, immagini che  esaltano il coraggio e la laboriosità di un popolo ancora orgoglioso, nonostante le vicissitudini del conflitto in corso, lasciano posto, dopo l’8 settembre del 1943, alle tragiche visioni dei bombardamenti, delle sofferenze, della solidarietà. Sono fotografie che  documentano, con realismo e un senso di commiserazione, le disavventure  di un paese alle prese con una disgrazia più grande di sé. La cronaca si riscatta con la liberazione e, nei primi anni del dopoguerra, fino all’inizio degli anni 60, gli strilloni ingigantiscono con il gergo della fantasia i titoli di scatola dei quotidiani. Risalta l’immagine del vigile urbano circondato dai  panettoni, torroni e dolci vari donati dai cittadini il giorno dell’Epifania.

Oggi celebriamo mamma, papà, nonni, suoceri, generi. In quei tempi  la festa del vigile urbano rientrava, forse, nella tradizione del “volemose bene”. Chissà, i vigili  di allora erano più simpatici. Sono anche gli anni in cui appaiono i nuovi attori della politica. Le fotografie di De Gasperi e poi via via  di Colombo, Andreotti e Fanfani, circondati da sodali su cui Lombroso avrebbe avuto qualche cosa da dire,  testimoniano la rapida crescita della DC. Divertente una fotografia di Pietro Nenni che schiaccia un pisolino sul prato di Villa Borghese, in contrasto con gli azzimati ed eleganti esponenti della DC. E’ l’Italia degli anni 50, della ripresa, dei sogni a basso costo e delle illusioni, di un mondo, tutto sommato, genuino, ma Roma stenta ancora ad uscire dagli stereotipi della povertà, peraltro ampiamente documentati anche nei film del neorealismo. Le foto di  Via Veneto, che si sta affermando come  un luogo “cult” in Europa, di Via Margutta,  frequentata da artisti, delle locandine del film di Risi “Poveri ma belli”, di masse di ragazze che si assiepano a Cinecittà per i provini della Titanus, contrastano con i profili  delle baracche lungo l’acquedotto Felice o con le istantanee scattate a campo Parioli.

L’immagine di un gruppo di giovani  preti festosi che, a Piazza S. Pietro, si tirano palle di neve, ricorda che Roma è sempre “caput mundi”, ma ci trasmette anche la sensazione di un clero più allegro dell’attuale. Con gli anni 60 la vita e il volto della città cambia definitivamente e si avvicina ai giorni nostri. Importante il contributo delle Olimpiadi, immortalate dalla fiaccola sul Campidoglio. Le tradizioni popolari sono ancora vive  agli inizi degli anni 60. Le foto della festa trasteverina de Noantri, celebrata tra bancarelle di quartiere e tavole imbandite  di anguria, porchetta di Ariccia  e vino dei Castelli, inducono un pizzico di nostalgia. Suggestiva anche la celebrazione della cucina degli antichi romani, laddove consumando 23 portate preparate secondo le ricette del gastronomo imperiale  Marco Gavio Apicio, i novelli trimalcione confermano il detto : se si tratta di pappare i romani non sono mai stati secondi a nessuno. Le fotografie dei nostri concittadini alle prese con tanto ben di dio denotano il piacere del commensale che assume espressioni quasi ascetiche nell’ingurgitare quantità di cibo impensabili ai giorni nostri. Di quei primi anni 60 colpiscono le immagini  di folla davanti al Piper , le sartine di piazza di Spagna, gli esodi domenicali in Vespa o in 600, gli zampognari, quelli veri, in piazza Navona, Fabrizi che mangia i supplì, l’ultimo lavatoio pubblico di Piazza Mastai.

In tutte queste istantanee ritroviamo le opere  di Rino Barillari, detto “the king”, vero interprete del fotogiornalismo di linea,  Mario De Renzis , Piero Ravagli , fotografo principe della politica, Enrico Olivero, Maurizio Riccardi. Gli ampi servizi sui movimenti del 68, sulle manifestazioni degli anni di piombo, sugli attentati terroristici a Fiumicino e al Velabro, sui funerali di Berlinguer, sul rapimento Moro, sulla visita a Roma di Nixon, ci riportano lentamente al presente e la patina del passato si dissolve nella intrigante atmosfera dei nostri giorni. In mostra la ricostruzione della scrivania del vecchio reporter, con la macchina da scrivere Olivetti, la radio ROD, il  telefono  Autelco, il notes per appunti Kores Palladium. Negli strumenti d’allora sembra ancora di poter ritrovare un rapporto umano  tra il cronista e il mondo, una deontologia professionale  che ancora si basava sul rispetto e non sul dominio e il ricatto.

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