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Il dark Peter Murphy al Quirinetta nel segno di Bowie

Un teatro gremito di gente, occhi truccati pesantemente che brillano in direzione del palco. E’ facilmente intuibile che Peter Murphy abbia segnato indelebilmente dentro e fuori generazioni intere con i Bahuaus ed il loro sound inconfondibile, più volte considerato una punta di diamante della scena goth e new wave degli anni Ottanta.
L’artista si trova in Italia per tre date del suo tour europeo che lo vede in giro con il chitarrista John Andrews “Loud Boy” e il bassista-violinista Emilio China. Un’occasione più unica che rara per vedere l’artista che in una versione semi acustica ripercorre la sua carriera artistica, dagli esordi con i Bahuaus fino ad oggi.
Quando Peter sale sul palco, preceduto dai suoi musicisti, tutta l’attenzione è su di lui. Per chi non ha mai avuto il piacere di vederlo prima, ciò che salta subito all’occhio è la dignità della sua persona. Impeccabile nel suo outfit nero, sottile e aggraziato come è sempre stato, è difficile immaginare che aldilà di questa presenza scenica ci sia un uomo di 60 anni. Nel corso di quasi un’ora e mezza di concerto ci dimentichiamo dei particolari, e veniamo subito rapiti da un’aurea che sembra lo rivesta e lo faccia brillare nel buio del palco.
Peter apre le danze, non solo metaforicamente parlando, con la bellissima “Cascade”, dall’album omonimo del 1995, ed è il perfetto inizio per perderci nelle atmosfere rarefatte della new wave. Seguono un paio di canzoni dall’album del 1989 Love Hysteria durante le quali le emozioni si mischiano e si passa dalla malinconia di “All Night Long” alla vivacità di “Indigo Eyes”. Poi arriva il momento del tributo a David Bowie, con una bellissima “The Belway Brothers”, dove la somiglianza non solo vocale ma anche artistica in generale – in particolare nelle movenze –  col Duca Bianco diventa inequivocabile. Peter abbandona il suo sguardo vivo e presente diretto alla folla, per guardare più volte al cielo, come a voler creare un legame con il cantante recentemente scomparso.
A sottolineare l’hype del momento, Peter e gli altri ci regalano la struggente e romantica  “A strange Kind of Love”.
Quando arrivano i pezzi del repertorio dei Bauhaus il pubblico ha ormai attraversato tutti i vari stadi dell’emotività e non c’è più ritorno. Siamo tutti da qualche parte negli anni Ottanta, e siamo mossi da una miriade di sensazioni.
Peter termina il suo concerto riportandoci negli  anni più recenti del suo percorso solista, con una “Never Fall Out” degna di nota (dall’album Ninth del 2011) senza mai perdere compattezza nella voce, il suo timbro baritonale rimane fedele ed impeccabile per tutta la durata della performance. L’encore è un altro tuffo nel passato, e laddove sarebbe comprensibile un po’ di stanchezza da parte della band, al contrario violino e chitarra creano danze, unioni e separazioni improvvise, poi di nuovo unioni, come se si fosse in un campo di battaglia.
A conti fatti, penso che mai più di ieri si possa dire che la musica non abbia età. Peter Murphy e soci hanno dimostrato che si può avere sessant’anni sulla carta ma sentirsi comunque ragazzi un po’ introversi delle periferie inglesi. Si può vivere negli anni duemila col corpo ma per sempre negli anni Ottanta con lo spirito.

di Giorgia Atzeni
Foto di Serena De Angelis

 

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