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La grazia del virtuoso pianista Lubomyr Melnyk al Quirinetta

Ieri sera al Quirinetta si svolgeva qualcosa che ha dell’incredibile. Lubomyr Melnyk è considerato il pianista più veloce del mondo. Nel 1985, in Svezia, stabilisce due record mondiali, documentati da un video in full audio: è riuscito a suonare 19,5 note in un solo secondo, e successivamente, la media di 13-14 note sempre al secondo, per un’ora intera. La Continuous Piano Music, così è chiamata la sua tecnica di cui egli stesso è il fondatore, è caratterizzata da un flusso continuo di note, schemi complessi e virtuosi suonati ad una velocità straordinaria, dall’utilizzo del pedale per creare effetti sonori che allungano e approfondiscono note, che danno vita a sensazioni intense, di estrema gioia e di estremo dolore, di pericolo imminente e di serenità assoluta.

Lubomyr arriva al successo un po’ tardivamente, la sua fama si consolida solo in tempi recenti dopo una serie di concerti in giro per il mondo, nei festival, dove viene notato da uno degli artisti dell’etichetta Erased Tapes che lo porta a firmare un contratto con la stessa. Da lì la strada è in discesa. Nel 2016 firma con la Sony Classical, con la quale pubblica il nuovo album Illirion, presentato in queste date autunnali. Il compositore di origini Ucraine arriva in Italia per portarci la dove il mondo non è più mondo, ma  una realtà parallela, dove si vive ad occhi chiusi, e si sentono una dopo l’altra tutte le note dell’universo, unite a creare storie di una bellezza sconvolgente. A vederlo salire sul palco, un po’ ingobbito dall’età e dalla continua postura a favore del piano, e con le mani un po’ contrite, si fa fatica a immaginare che Lubomyr possa tutto questo. Nel suo aspetto da vecchio saggio, occhi piccoli ma vispi, capelli lunghi, barba grigia, prende posto al centro del palco, le luci spente, e solo un fascio che illumina lui ed il suo piano.

Da qui inizia il viaggio, la trascendenza. Le mani che si rincorrono, così sciolte e veloci nonostante il loro aspetto artritico, che diventano ora  acqua ora vento ora tempesta nella bellissima “Windmills” (2013) ora il battito di ali di farfalle nell’altrettanto notevole “Butterfly” (2016), dove Lubomyr supera se stesso suonando sopra una base di note già registrata, come se non si trattasse di una manciata di farfalle, ma di tutte le farfalle del mondo. Al termine di ogni canzone, consapevole del fatto che la sua musica non si possa spiegare ma solo vivere, Lubomyr dà il via a dei flussi di coscienza che non sono appunto spiegazioni, ma digressioni sulla bellezza della natura, su quanto essa possa illuminarci e innalzarci, con la sua forza vitale. E di come le note, meglio delle parole, possano spiegare tutto questo.
E’ difficile capire se si rimanga più impressionati dall’abilità artistica di quest uomo, che sembra suoni in contemporanea con una dozzina di mani, o dalla capacità di queste stesse mani di trasformare le note in cascate o foglie al vento, di costruire nella nostra immaginazione mondi meravigliosi, rupestri, dove perdersi e ritrovarsi.

Non ci resta che rilassarci, bere un buono shot di vodka – come lui stesso ha ammesso di fare prima di guardare un film o ascoltare musica in un’intervista recente – e lasciarsi trasportare. Come acqua. Come vento.

di Giorgia Atzeni

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